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Scienze sociali e guerra

di Piero Brunello || Letture 28/05/2025

Note a margine di un libro sulla storia di un’azienda che dal 1959 al 1970 ha studiato i comportamenti umani con l’ausilio di un computer IBM. Scienziati uomini e dattilografe donne. Predire e influenzare. Ricerche per il controllo e per la guerra: scienze sociali che “degenerano”, o che si prestano a tale “degenerazione”?

Ho raccolte le mie osservazioni sul libro di Jill Lepore, Simulmatics. Ascesa e caduta dell’azienda che inventò il futuro, Rizzoli, Milano 2023 [trad. di Caterina Chiappa, 454 p., ed. or. 2020], e le ho suddivise in sette punti.

1. La vicenda della Simulmatics non è solo un capitolo di storia dell’intelligenza artificiale, ma anche e soprattutto un capitolo di storia delle scienze sociali.

Il libro di Lepore porta alla luce una vicenda dimenticata, quella di un gruppo di scienziati statunitensi che negli anni Sessanta mise a punto un computer IBM che doveva predire e influenzare il comportamento umano. Stiamo parlando di una macchina che occupava 500 metri quadrati e usava schede perforate. La società che lo ideò, la Simulmatics Corporation, studiò un programma che simulava le probabilità che possono scaturire da una determinata serie di circostanze. Di qui il titolo originale del libro, che è IF THEN, secondo il codice che regola i programmi informatici: se… allora.

La macchina, chiamata “people machine” e circondata da un’aria di segretezza, nasceva da modelli messi a punto dagli eserciti americani e inglesi nella seconda guerra mondiale per decifrare i messaggi in codice e calcolare le traiettorie dei missili (p. 84). Le istruzioni fornite dai matematici alla macchina erano di eseguire velocemente calcoli numerici – non pensare, ma fare calcoli (pp. 86-87). La divisione del lavoro rispecchiava quella di genere. A fornire istruzioni alla macchina erano infatti scienziati uomini; trascrivere i dati ottenuti dalle schede meccanografiche era invece compito di una schiera di dattilografe.

La Simulmatics iniziò le sue attività segmentando l’elettorato per suggerire ai candidati quali strategie adottare; in seguito applicò la tecnica della segmentazione ad altri ambiti: alla pubblicità, ai dati elettorali in tempo reale, e infine, su committenza del governo, alla conduzione della guerra in Vietnam e al controllo delle proteste e delle rivolte nei ghetti neri (pp. 350-351).

Gli studiosi reclutati dal Dipartimento americano della difesa erano scienziati sociali: il loro compito era quello di condurre operazioni di guerra psicologica tramite interviste, sondaggi di opinione e questionari. Studiavano la mobilità verticale delle élite, tracciavano gli effetti di una lettera, di una voce, di una profezia, calcolavano la correlazione tra livello di consumi e preferenze politiche, compivano indagini di network analysis (quante presentazioni servono per andare da una persona A a una persona B). In altre parole gli studiosi che piacevano al Dipartimento americano della difesa facevano le cose che molti e molte di noi facciamo: indagavano la realtà su scala micro, con gli strumenti della sociologia e dell’antropologia sociale, con lo scopo di fornire elementi di analisi e di previsione utili poi a livello macro.

2. Le scienze sociali si sviluppano e progrediscono a fini di controllo sociale.

Leggendo questo libro mi sono chiesto più volte quanto le pratiche dell’indagine sociale siano in debito nei confronti della guerra psicologica: tante, direi. C’è stato un periodo in cui mi sono dedicato con assiduità agli studi di sociologia e di network analysis. Erano i primi anni Ottanta del Novecento. Volevo studiare i percorsi e risultati di una falsa notizia: nel mio caso la voce dell’imbarco gratuito e dell’assegnazione gratuita di terre in Brasile, nella primavera 1877 nelle campagne tra Mestre e Treviso. Alla fine decisi di scrivere non un saggio ma un racconto storico, dal titolo Emigranti, che mi sembrava rendesse meglio l’incertezza degli attori sociali, l’imprevisto degli eventi e la continua riconfigurazione delle reti sociali. Ecco alcuni esempi dei temi trattati negli scritti in cui mi ero immerso: come interpretare l’atteggiamento di una folla sulla base di foto aeree: è disposta a cerchio? è disposta a capannelli? da che parte guarda? Oppure: quale comportamento collettivo si crea in seguito a una diceria? E ancora: entro quali confini si diffonde un pettegolezzo o una falsa notizia? perché una notizia appare credibile? Chi diffonde una falsa notizia è ritenuto o ritenuta responsabile, quando ci si accorge che non è vera? Dipende: se si diffonde in una situazione di panico, la risposta è no. Questa cosa mi aveva colpito, perché mi faceva riflettere su quello di cui ero stato testimone pochi anni prima durante il terremoto che aveva distrutto molti paesi del Friuli. In quella circostanza nessuno-a venne ritenuto responsabile se, nel panico succeduto dopo la prima violenta scossa di terremoto a Mestre aveva sparso la notizia che in quel punto preciso della strada l’asfalto si era sciolto ed erano uscite fiamme dal sottosuolo. Si scoprì che la notizia non era vera. Ma, ripeto, chi l’aveva diffusa non era ritenuto responsabile se aveva contribuito a diffondere l’allarme e la paura, tanta era l’agitazione del momento.

Ricordo bene l’impressione che fecero a me le letture di quel periodo. Si capiva che erano il prodotto di politiche volte al controllo sociale. A chi mi chiedeva che cosa stessi studiando allora rispondevo: roba commissionata dalla Cia. Tutti avevamo visto I tre giorni del Condor, la risposta faceva ridere.

Il libro di Jill Lepore conferma la fondatezza delle mie impressioni di allora, che io per primo consideravo buone per una battuta di spirito. Negli anni cinquanta, osserva l’A., “le università ricevettero fiumi di denaro per rendere lo studio del comportamento umano una scienza” (p. 353). La scienza – aggiunge – venne applicata al sostegno delle politiche governative, in primo luogo a scopo militare. I casi più importanti riguardano l’appoggio alla candidatura a presidente di Kennedy, la guerra psicologica in Vietnam e in Centro America, gli interventi di contro-insurrezione nei ghetti neri. Il centro della ricerca era situato al Massachusetts Institute of Technology [MIT], dove insegnava uno dei teorici principali del progetto Silmulmatics, Ithiel de Sola Pool, fondatore del Dipartimento di Political Science.

3. Negli anni Sessanta movimenti di protesta nelle università negli Stati Uniti rifiutano di sottomettere la ricerca all’apparato militare industriale.

Lepore dà per conosciuto il contesto in cui la Simulmatics poté agire, ma forse serve ricordare che pochi anni prima la vicenda di Oppenheimer, messo sotto accusa da una commissione governativa, aveva mostrato cosa poteva capitare a chi rifiutava la sottomissione della comunità scientifica ai militari[1]. Fu questo clima a permettere alla Silmulmatics di crescere, almeno fino allo scoppio delle proteste contro la guerra in Vietnam nelle università e negli ambienti intellettuali, sulle quali il libro di Lepore si diffonde.

In un discorso all’American Anthropological Association, Marshall Sahlins accusò i ricercatori che si mettevano al servizio della Guerra fredda di manifestare nei confronti dello Stato “un atteggiamento adulatorio che non si addice né allo scienziato né al cittadino” (p. 233). Nei suoi reportage dal Vietnam, Mary McCarthy accusò gli scienziati comportamentali di essere i responsabili della guerra: come la seconda guerra mondiale aveva portato alla ribalta i fisici, così la guerra in Vietnam aveva mobilitato gli scienziati comportamentali, ancor più pericolosi degli studiosi che avevano progettato la bomba atomica (p. 263).

Nel 1969 l’università di Harvard venne invitata a partecipare al progetto Cambridge, che prevedeva tra le altre cose la costituzione di una rete che metteva in connessione computer di due diverse università. Studenti e docenti di Harvard si opposero accusando la ricerca di voler mettere i dati personali al servizio del governo, e di sviluppare programmi volti a reprimere le rivolte nei ghetti e a combattere i movimenti rivoluzionari. Barrington Moore parlò di “illusione di una onnipotenza tecnologica”, e denunciò “il fallimento morale” delle scienze comportamentali finanziate dal governo: ciò che avrebbe potuto portare al mondo “libertà, abbondanza e felicità” si trasformava “in morte, terrore, distruzione e malattia” (p. 325). Nel 1971 un manifesto della Students for a Democratic Association del MIT, con la classica intestazione “Wanted” usata per i fuorilegge, dichiarava Ithiel de Sola Pool un “criminale di guerra” (p. 303). Nel frattempo, l’anno prima, la Simulmatics aveva chiuso per bancarotta.

4. La protesta delle università e degli studiosi negli anni Sessanta non attacca solo l’asservimento delle scienze sociali alla guerra psicologica, ma mette anche in discussione il loro statuto disciplinare.

Jill Lepore ha il merito di aver sottratto alla dimenticanza non solo le vicende della Silmulmatics, ma soprattutto le forti opposizioni che esse suscitarono. Quando chiuse la sua attività, osserva Lepore, la Simulmatics “non godeva di buona reputazione” (p. 328). Tuttavia, nel mettere a fuoco le critiche alle applicazioni politiche delle scienze comportamentali, l’A. sottovaluta, almeno così mi è sembrato, le polemiche che in quegli stessi anni misero in discussione lo statuto disciplinare stesso delle scienze.

Nel 1968, nel mezzo delle proteste per il coinvolgimento della ricerca universitaria nelle politiche americane in Vietnam, Noam Chomsky, un collega di Ithiel de Sola Pool al MIT, criticò le scienze del comportamento non per la loro degenerazione, ma “perché si prestano a tale degenerazione”. La scienza del comportamento, osservò Chomsky, insegna “che noi possiamo occuparci solo del comportamento e dei mezzi per controllarlo”, e di conseguenza considera estranea all’oggettività della scienza ogni considerazione relativa alle “idee di libertà, esigenze individuali o volontà popolare”; così facendo la scienza impone “ingiustificati vincoli metodologici circa lo studio dell’uomo e della società”[2].

Come Chomsky, anche Paul Goodman rifletté sui vincoli metodologici imposti alle scienze del comportamento dal coinvolgimento degli studiosi nella politica americana. La tragedia classica e i romanzi dell’Ottocento – osservò Goodman – mettono a fuoco i conflitti di un individuo con i ruoli istituzionali e la propria funzione nella società, e mostrano come questi conflitti siano alla base dei cambiamenti culturali e sociali. Era il tema su cui avevano sempre indagato le scienze sociali, che avevano illuminato i concetti di “sfruttamento, alienazione, anomia”, e quelli di “risentimento, ribellione e libertà”. Viceversa le scienze sociali contemporanee – continuava Goodman – sembrano non ammettere l’esistenza di un problema, e descrivono come il comportamento di un individuo viene determinato fin nei dettagli dalle tecnologie “disumanizzanti” del controllo.[3]

In altre parole, l’asservimento della scienza a scopi militari e di controllo sociale, su cui Lepore invita a riflettere, costituisce sicuramente un tema attuale anche oggi nelle università italiane ed europee. Ma altrettanto attuali mi sembrano le prese di posizione che negli anni Sessanta misero in discussione lo statuto scientifico di discipline che si pongono come neutrali e avalutative, mentre in realtà, limitandosi a indicare i mezzi tecnici di controllo dei comportamenti, non solo abbandonano ogni senso etico ma impoveriscono lo sguardo e si precludono una migliore e più ampia comprensione della realtà, cancellando per esempio il ruolo dell’empatia, della rivolta morale e dell’imprevisto.

5. L’immaginazione – narrativa, film e fantascienza – precede la ricerca e anticipa soluzioni tecniche ancora non disponibili: l’immaginario pertanto è un terreno decisivo della definizione della realtà.

Il libro di Lepore mostra come le proposizioni scientifiche, che si trasformano in pratiche di ricerca, nascono non per accumulo all’interno di una singola disciplina ma provengono da ambiti diversi del sapere. L’immaginario ha una grande parte nel prevedere soluzioni tecniche che solo in un secondo momento sarebbero state disponibili; e spesso la fantascienza, o comunque la letteratura, arriva prima della scienza, per non dire della storia.

Nel 1956 Ithiel de Sola Pool, che allora lavorava al MIT presso il Centre for International Studies fondato dalla Ford Foundation e dalla CIA, formulò in una lettera i seguenti interrogativi, che di lì a pochi anni sarebbero rientrati negli interessi della Simulmatics: “Quante persone conosce mediamente un individuo? Quante sono le conoscenze in comune tra due persone? Quanti gradi di separazione ci sono tra una persona e l’altra?” (p. 77). Come si vede, sono domande alla base della network analysys. Pare che il primo studio antropologico a porre questi interrogativi fosse stato due anni prima J.A. Barnes in un articolo che si occupava di una comunità di pescatori in Norvegia[4]. In realtà il primo a formularli chiaramente era stato nel 1929 un romanziere ungherese di nome Frigyes Karinthy in un racconto breve dal titolo Anelli della catena. In questo racconto un personaggio aveva proposto un passatempo: indicare qualsiasi individuo abitante nella Terra, e lui scommetteva di collegarsi alla persona designata attraverso al massimo cinque persone in base a solo conoscenze dirette[5]. Sarebbe interessante seguire i percorsi della network analysis: dall’originaria caratteristica di gioco di società ai perfezionamenti disciplinari acquisiti grazie alla guerra psicologica.

6. Il movimento di protesta nelle università statunitense manifesta contro la guerra in Vietnam e non si accorge della nascita di Internet: il che invita a riflettere sull’importanza delle cose che succedono fuori dal cono di luce proiettato dal sistema dei media (e dagli slogan dei movimenti).

Negli anni Sessanta il governo prese in esame la possibilità di centralizzare in un National Data Center i dati digitalizzati di ogni tipo. Un ampio movimento di studenti e intellettuali si oppose a questa prospettiva, perché avrebbe compromesso la privacy dei cittadini, a quel tempo salvaguardata dalla natura frammentaria e dispersa delle informazioni (p. 305). Il New York Times scrisse che il National Data Centre rischiava di essere un “incubo orwelliano” (p. 307). L’idea venne abbandonata nel 1968 (p. 309).

Nel 1972, all’hotel Hilton di New York, venne presentato al pubblico per la prima volta il progetto ARPANET: c’erano ventinove terminali da cui si poteva giocare a scacchi con un computer al MIT o fare domande a un terminale a Los Angeles. Era l’antenata di Internet. Non se ne accorse nessuno.

Al contrario del National Data Center, ARPANET non prevedeva nessuna centralizzazione dei dati. I dati rimanevano dov’erano stati raccolti. Solo che venivano collegati l’uno con l’altro in una rete connessa. Si trattava di uno scenario previsto nel 1965 dal fisico, matematico e psicologo Joseph Licklider, che per le edizioni universitarie del MIT aveva pubblicato Libraries of the Future, in cui immaginava che nel 2000 uno studioso avrebbe fatto ricerche dalla propria scrivania in casa accedendo a un materiale digitalizzato messo a disposizione da biblioteche connesse online (p. 310). Nel 1968 Pool da parte sua aveva previsto la comunicazione della rete, in cui gli individui avrebbero avuto accesso a contatti individuali, e quindi a notizie confezionate su misura del singolo e non più pensate per grandi aggregati (pp. 302-303)

Improvvisamente, scrive Lepore, ARPANET venne accolta come uno strumento di libertà e di emancipazione universale (p. 340). L’avvento di Internet, continua l’A., fu accolto con entusiasmo, e anche promosso, da una ideologia che decantava la rete digitale in nome della libertà, dell’autogoverno, della comunità e della cooperazione (pp. 346-347). La visione di Ithiel de Sola Pool – conclude l’A. – si era imposta per prima cosa proprio presso quel mondo che aveva combattuto Simulmatics e le sue pretese di controllo dei comportamenti.

7. Dove ci si chiede quale ideologia abbia favorito l’accoglienza entusiastica di Internet, concludendo che non si debba parlare di Nuova Sinistra ma di neoliberismo e anarcocapitalismo.

Chi ha una certa età ricorda il panegirico di un’economia smaterializzata e di uno scambio gratuito fuori da considerazioni di interesse economico. Ma come definire questa ideologia? La studiosa Soshana Zuboff, che analizza l’intreccio tra scienze del comportamento, ideologia neoliberista, esigenze commerciali e politiche della sicurezza, parla di un capitalismo della sorveglianza. È vero che lei si concentra sugli anni Duemila, cioè su un periodo successivo alla costituzione di Internet di cui si occupa Jill Lepore, ma il suo studio rimane interessante perché dimostra come il capitalismo della sorveglianza – una nuova e inedita fase capitalistica – sia stato costruito intenzionalmente da determinati gruppi di persone, che agirono attraverso deliberati colpi di mano[6].

Jill Lepore invece chiama in causa la Nuova Sinistra (New Left). Parla di hacker, contrari alla guerra e a Nixon e con il mito delle Comuni in cui vivere liberamente (pp. 339-340); di controcultura (counterculture) che riprende da Pool la celebrazione di nuove tecnologie libere dal controllo governativo (pp. 346-347); di un ambiente libertario e anarchico favorevole al mercato libero (p. 346). Tra le figure citate a proposito della controcultura, l’A. ricorda la figura di John Perry Barlow, autore di testi di canzoni dei Grateful Dead, che nel 1996 pubblicò una Declaration of the Indipendence of Cyberspace, in cui annunciava l’avvento di un mondo in cui un individuo avrebbe potuto esprimere la propria opinione liberamente senza tema di essere ridotto al silenzio o al conformismo (p. 347).

È giusto mettere assieme, come fa Jill Lepore, Nuova Sinistra e tradizione libertaria? Nel contesto statunitense i libertari sono sia quelli che “considerano compito del governo soddisfare le necessità dei ricchi”, sia quanti non vogliono niente “che possa ledere la libertà d’arricchimento”. Così si esprimeva Noam Chomsky in una intervista nei primi anni Novanta[7]. In altre parole, se vogliamo trovare un termine adatto per individuare un ambiente culturale favorevole alla deregolamentazione con cui si è affermata Internet, sarebbe più corretto parlare di neoliberismo o di anarcocapitalismo. Come la controcultura e la Nuova Sinistra siano state coinvolte in questo progetto, questo sarebbe un buon campo di indagine: spostando tuttavia l’attenzione da un’indistinta galassia ideologica a una prosopografia in grado di illustrare le traiettorie biografiche e reti di relazione delle persone che hanno fondato Apple, Microsoft, Google, Facebook eccetera. Sarebbe utile in altre parole fare per questa seconda parte della vicenda – l’esaltazione della rete – quello che l’A. fa nella prima parte del libro, quando racconta la costituzione della Simulmatics, le persone che ne hanno fatto parte, le istituzioni in cui lavoravano, i rapporti con gli apparati accademici, economici, statali e così via.

Nota. Questa lettura è stata presentata per la prima volta all’incontro “Storicizzare l’intelligenza artificiale. Una discussione a partire da Simulmatics di Jill Lepore”, a cura del Seminario polesano di Storia sociale, in collaborazione con l’Associazione culturale Minelliana, tenutosi per l’ottava edizione del Maggio Rodigino presso l’Urban Digital Center di Rovigo il 21 maggio 2025. L’immagine di apertura Professor with Flintlock Hand Pistols è stata creata con chatGPT il 28 maggio 2025.


[1] Kai Bird, Martin J. Sherwin, Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica, trad. di Emanuele Alfonso e Vignassa de Regny, Garzanti, Milano 20232, p. 672.

[2] Noam Chomsky, I nuovi mandarini. Gli intellettuali e il potere in America, trad. di vari,prefazione di Howard Zinn, Il Saggiatore, Milano 2012, p. 72 (prima ed. or. 1969, prima trad. it. 1969). Chomsky analizzò le teorie di Skinner, teorico del comportamentismo radicale, in Id., Psicologia e ideologia, in Id., Per ragioni di stato. Ideologie coercitive e forze rivoluzionarie, trad. di Vittorio De Tassis, Settimio Severo Caruso, Einaudi, Torino 1977 (ed. or. 1973), pp. 384-449.

[3] Paul Goodman, La nuova riforma [1971], in Id. Individuo e comunità, a cura di Pietro Adamo, Eleuthera, Milano 1995, pp. 222-223.

[4] J.A. Barnes, Class and Committees in a Norwegian Island Parish, in “Human Relations”, VII (1954), pp. 39-58.

[5] Marinella Lőrinczi, Frigyes Karinthy, Anelli della catena (1929), in “Medea”, III, 1, 2017, pp. 2-3, DOI: http://dx.doi.org/10.13125/medea-3028.

[6] Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, trad. di Paolo Bassotti, Luiss University Press, Roma 20232 (ed or. 2019).

[7] Noam Chomsky in un’intervista di Tomàs Ibañez, dicembre 1993, in Noam Chomsky, Anarchia e libertà. Scritti e interviste, Datanews, Roma 2003, p. 89.

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