
Elenco di gadget e souvenir kitsch compilato passeggiando per Venezia. Monumenti e simboli della città stereotipati in resina o plastica a tutto tondo, oppure stampati su ceramica, su vetro, su magneti.
Pensati e assemblati da immagini circolanti in rete, anche da compositori che la città l’hanno vista solo su schermi luminosi del più vario genere e quasi mai di persona, ora anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, i ricordini di Venezia hanno proliferato con un’esuberanza difficile da incontrare altrove, sfondando tutte le barriere rappresentative del kitsch. Profetizzando ottant’anni fa la diffusione di immagini dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, difficilmente Walter Benjamin poteva immaginare un fenomeno come l’overtourism, capace di generare una tale infestazione lussureggiante della riduzione dell’arte a luogo comune manipolabile.
Prodotti principalmente nella Repubblica Popolare Cinese, gli importatori di souvenir adottano talvolta pittoreschi nomi esotici, o indicano i propri magazzini in terra veneta.





Certo, se le paperine in plastica vendute a caro prezzo da una celebre catena internazionale di insulsaggini per bambini non c’entrano nulla con Venezia, comprate lì acquistano un fascino particolare

Ma il turismo di massa mordi e fuggi predilige paccottiglia a pochi euro, che in qualche modo vago e distorto possa collegarsi simbolicamente a Venezia. Il souvenir della città lagunare riproduce a ruota libera gli stereotipi più triti, facili da riprodurre in forma stilizzata e da decodificare immediatamente per chi li guardi

Trionfano la gondola, con il suo gondoliere, che trasporta una coppia di sposi o fidanzati, o una ballerina in tutu, adesso anche con un motorino a pila o a energia solare che la faccia ondeggiare.



Poi ci sono le paline di casata, il ponte di Rialto, qualche volta il campanile di San Marco

Usuali solo nelle riproduzioni fotografiche, o disegnate, il palazzo ducale, la basilica o il ponte dei Sospiri: anche con la resina restano troppo complessi da riprodurre miniaturizzati a tutto tondo o in altorilievo. Da solo, accompagnato al ponte di Rialto e alla gondola, oppure svettante su una colonna, stampato su un bicchiere o in ceramica, il leone di San Marco può essere presente nel repertorio. Oggi tuttavia rimane meno ricorrente di un tempo nei ricordini. Forse è un simbolo non elementare per gli stranieri, mentre rimane troppo caricato di simbologie leghiste/venetiste per i visitatori italiani, per quanto magari banalizzato – al pari della gondola – in funzione di apribottiglie.

Meno invadente che negli anni Ottanta e Novanta, la maschera in ogni foggia, materiale e dimensione è ancora identificata come simbolo di Venezia e del suo introvabile e inesplicabile carnevale dalle piumate suggestioni settecentesche.

Meno stereotipata, ma inventata da qualche commerciante straniero che sa come a Venezia sia facile perdersi, una tabella-magnete riproduce i cartelli, pure con falso invecchiamento, che indicano al turista le sue ordinarie mete.

Nel repertorio ormai sconfinato dei magneti, rispetto alle figurine in resina a tutto tondo, le cartoline-calamita, o i disegni-calamita permettono almeno di vedere immagini più precise e meno soggette a grossolane sbavature di plastica e colore.


Tutti questi oggetti in plastica, o ciondoli portachiavi in metallo o simil-metallo, fanno concorrenza alla produzione in vetro, talvolta presentata come Murano glass, ma in buona parte proveniente anch’essa dalla Repubblica popolare cinese. Il ricordino in vetro, più che su strampalati simboli di Venezia, si concentra in genere su piccoli contenitori, magari decorati con decalcomanie in rilievo, ma più spesso su figurine danzanti o pagliaccesche, su insinuanti feline mascherine femminili da appendere al muro, e soprattutto su motivi vegetali e zoomorfi miniaturizzati.

Forme più raffinate, probabilmente – ma non necessariamente – prodotte a Murano, si trovano nei negozi costosi gestiti da italiani, non nelle vetrine di carabattole allestite da pakistani, bengalesi, rumeni, cinesi. I più celebri monumenti tipizzati possono magari esser rappresentati nei soprammobili in ceramica, ma perché non di plastica inseriti in finte lampadine? O meglio nelle immancabili palle di vetro con spolverata di neve se vengono agitate? Ma la ridondanza di questi oggetti può spingere persino a trasportare queste palle di vetro in gondole di resina, o addirittura, mettere il gondoliere a trasportare nella sua barca una palla di vetro in cui è imprigionato un altro gondoliere.




Nelle calamite, il campanile di San Marco può anche ispirarsi a un espressionismo tricolore. Come l’abbigliamento del burattino Pinocchio, sia di legno che di plastica, in vendita in numerosi negozi, tanto più in calle Mercerie. Rafforzano nel turista l’idea che tanto il campanile decorato dal Sansovino come il personaggio di Collodi siano robe italiane.
In un supponente primato della cucina italiana nel mondo, decantatissimi ai turisti, che paiono credere alla loro autenticità, non possono mancare i souvenir alimentari. Le nuove cicchetterie sono ormai un genere immancabile nei percorsi dei visitatori in ambito lagunare, tanto che le guide stentano ad aggiornarsi per segnalarle. Iniziano anzi a diventare di moda con quel nome veneto pure a Bologna e Milano, dove però occorre ancora spiegare agli avventori locali che il cicchetto non consiste più nel tradizionale grappino, ma nel solido stuzzichino da accompagnare al vino; i turisti stranieri di passaggio in Emilia e Lombardia invece lo sanno già. Stranamente mancano ancora (lo suggeriamo qui, se gli importatori cinesi ci ascoltano) calamite con la bottiglietta dell’Aperol per lo spritz, o col calice pieno della bevanda rossa o arancio in resina, mentre nelle città d’arte toscane i magneti con le miniature della bottiglia o del fiasco di Chianti sono diffusissime.
A Venezia in pseudo-drogherie rivolte ai turisti, con prodotti “tipici”, poco noti e decisamente sorprendenti per gli italiani e i veneti, non mancano le bottiglie di limoncello dalle forme più rimaneggiate; qui una bottiglia contorta a forma di stivale, geografica rappresentazione dell’Italia, ma con stampato sopra un decorativo vistoso ferro da punta dorato di una gondola.

Il limoncello non è un prodotto veneziano, ma in Italia ormai viene offerto in ogni foggia agli stranieri, che lo apprezzano molto e se lo aspettano ormai più del caffè espresso. A Napoli, a capo della regione che ne produce di più, se ne trovano bottiglie ben più strambe; qui una varia esposizione, con la ricorrente forma di pene; ma si può dire che – surclassandole oggi nei flussi turistici – il centro partenopeo abbia usurpato il simbolo dei limoni a Sorrento e Amalfi.


La pastasciutta non è poi un simbolo necessariamente veneziano, infatti questi pezzi di pasta multicolore (ma con varie sfumature del rosso, bianco e verde) in quelle raccapriccianti pseudo-drogherie vengono offerti come prodotto locale in diverse città turistiche italiane, e da un po’ di tempo persino in alcuni supermercati discount. Per renderla prodotto tipico turistico, basta comunque mettere nella confezione un po’ di immagini stereotipate di una qualsiasi città famosa: qui una prospettiva grandangolare di piazza San Marco, con una strisciata dei fumogeni delle Frecce tricolori, e in cima una rassicurante marca “Antichi sapori”, affiancata dal glorioso serenissimo leone dorato. Serve a farla costare il quadruplo della normale pasta. Dalle ormai classiche forme dello spaghetto e maccherone, oppure di farfalla o di ruota che dovrebbero trattenere più condimento, si è passati ad architetture complesse e bizzarre come lo stivale della penisola italica. Ma qui c’è anche della pasta ultraveneziana, con una grossolana forma di gondola.
Per i più ridanciani, in vena di battute grassocce qualora venisse l’ardita voglia di assaggiarne una variante, figura pure questa in stilizzata sagoma di pene.


Una pasticceria – non delle più rinomate, ma opportunamente collocata nelle calli del grande flusso turistico – mostra al centro della sua vetrina un flusso di cioccolato fuso, che si riversa in una gondola dorata e da quella cola in un’identica gondola, poi in un’altra, e dopo anche in un ponte di Rialto, pure dorato, collocato in un Palazzo Ducale la cui plastica imita il marmo chiaro dell’originale, dove il fiotto marrone scompare.

Se poi ci si porta al mercato di Rialto, un turista può essere condotto da guide anticonformiste anche a comprare un autentico completo abbigliamento da gondoliere, o – se preferisce – quello da cameriere: nella realtà il principale lavoro a Venezia, dall’enorme diffusione, rispetto a quello pur esorbitante dei portieri di notte che magari di giorno rassettano stanze o forniscono chiavi di accesso negli airbnb e B&B della gentrificazione che infesta la città.
Per chi abbia un budget elevato negli acquisti, nel sestiere di San Polo, vicino ai Frari, si possono trovare anche oggetti ricercati, raffinati nel loro riprodurre in modellini miniaturizzati in legno i monumenti più celebri della città, le imbarcazioni lagunari, gondole comprese, con vari kit per chi ami costruirseli una volta tornato a casa.


Ma per bambini esigenti, o per nostalgici dell’infanzia, poco fantasiose ma costose costruzioni Lego (o simili made in Venice) possono aiutare a costruirseli in plastica la gondola, il gondoliere, la briccola e la palina, i monumenti con la vera da pozzo e lo skyline della città lagunare.



Nota. Tutte le immagini sono state scattate dall’autore, tranne la scatola Lego Architecture, ripresa da un catalogo di vendita online.
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