
Intervista a Silvano Gosparini e Lili Olbi a cura di Piero Brunello e Elis Fraccaro. Perché la rivista L’Internazionale viene fatta a Venezia, e perché dopo i primi due numeri passa di mano. Partecipazione come gruppo anarchico alla terza Marcia antimilitarista. La redazione veneziana del periodico femminista La via femminile.
Anarchici a Venezia. Riviste, antimilitarismo, femminismo (1966-1975)
Tre numeri dell’Internazionale
Elis. A un certo punto entrate in contatto con Pio Turroni[1] e L’Internazionale. Come l’avete conosciuto?
Silvano e Lili. Fiorin, è stato Nanni Fiorin [vedi parte II], che noi avevamo conosciuto tramite Morandini.
Lili. A Venezia la famiglia Fiorin era la famiglia anarchica; Nerina, sorella di Nanni, che si era sposata per procura con Libero Vigna l’anarchico di Trieste che arrivava dall’Australia, è lei a occuparsi della libreria.
Silvano. Fiorin parla a Turroni e Turroni viene a Venezia a vedere chi sono questi fioi… In America gli anarchici raccoglievano soldi, loro [Pio Turroni e Aurelio Chessa[2]] li distribuivano e quindi volevano vedere chi eravamo, a chi davano i soldi… Si andava sempre agli incontri che si tenevano a Ca’ Giustinian, è stato Dorigo a invitarci a partecipare (noi leggevamo e discutevamo Questitalia [vedi parte II]). Una volta parlava Dorigo, e Fiorin ha fatto un intervento “mi, co’ ste man…”, diceva spesso così, mostrando le mani del lavoratore, “mi co’ ste man…”.
Elis. Fiorin faceva el stucadór, faceva stucchi, ha lavorato con Carlo Scarpa quando hanno fatto la Querini Stampalia; suo padre era un falegname socialista.
Silvano. Lavorava con l’impresa di Serafino Abis. Aveva qualche anno più di me, lui era del 1922. Era molto impegnato, lui per noi era un riferimento; Turroni lo rispettava molto.
Elis. Lo chiamavano il figlio di Turroni.
Piero. Dicevate di Morandini…
Silvano. Conoscevo il vècio Morandini, che era un vero compagno di base, era impegnato nella Socrem, la Società di cremazione, allora erano solo gli atei che si facevano cremare. Morandini mi ha fatto conoscere Fiorin. Credo di aver conosciuto Morandini in edicola ai Santi Apostoli, che esponeva Umanità nova. Ho chiesto a quello dell’edicola che mi ha detto: è un vècio che viene qua, che mi porta il giornale. Allora un giorno sono andato e ho conosciuto Morandini: era già vecchio, fine anni Cinquanta, primi Sessanta. Lavorava sui piroscafi, e prima ancora aveva navigato sui velieri, mi diceva che adesso era facile navigare ma al tempo dei velieri era dura. Era sempre insieme con l’infermièr, in due: lui e l’infermièr, il papà del professor Giorgio Brunetti[3]. Morandini mi raccontava di essere stato in ospedale e di aver conosciuto questo infermiere e gli parlava, l’infermiere era curioso ed è diventato un compagno. Con Morandini abbiamo fatto una volta un convegno nella sezione dei socialisti, erano i socialisti allora che ci prestavano la sede, c’era Aldo Pontiggia[4] che parlava sul palco, io non lo conoscevo ancora, era la prima volta che lo vedevo, ero seduto vicino a Morandini e Morandini mi fa segno con l’occhio e mi dice. “Parla lui, ha casa sua, la moglie è farmacista, lui è dottore; ma ti sembra che sia come noi?”. Aveva ragione… io sono stato colpito da queste cose…
Lili. Pontiggia era sempre assieme con Mario Moret[5], che aveva una libreria a Vittorio Veneto, noi li abbiamo sempre conosciuti assieme; erano inseparabili, impegnati sul tema dell’aborto e degli anticoncezionali, venivano sempre a trovarci, nel loro dialetto dicevano “Sene qua”, a noi questo dialetto colpiva, e io le mie opere artistiche le ho sempre firmate “Nicola Sene”.
Silvano. Per dire: noi, noi insieme, un lavoro collettivo… Una volta che Pontiggia ha avuto un incidente di macchina gli ho dato per un paio d’anni la mia, allora ne avevamo due per il lavoro, gli ho dato una Flavia (ci serviva, se ti presentavi con una Flavia vendevi di più).
Elis. E quindi fate L’Internazionale.
Silvano e Lili. Noi facciamo il giornale, facciamo la redazione del giornale, noi due ed Enzo Di Martino, c’era anche Stella, e ci mettiamo in contatto con Turroni per farlo conoscere, chiedere un sostegno; Turroni trova una tipografia a Forlì e paga la stampa, era una tipografia di repubblicani, e diventa direttore responsabile; noi siamo la redazione, facciamo il giornale a Venezia e lo stampiamo a Forlì; la distribuzione la facevamo assieme, noi ci occupavamo del Triveneto e della Lombardia, Milano no.
Silvano. L’unica stamperia che ce lo stampasse era a Forlì. Era stato Turroni a trovare la tipografia, a Venezia non avevamo trovato nessuna tipografia che accettasse di farlo. C’era un compagno qui a Venezia, Locatelli, un compagno comunista, che aveva una bella tipografia a Castello, e gliel’hanno chiusa perché aveva stampato dei manifesti per noi, perché allora bisognava portare in prefettura cinque copie del manifesto prima di consegnarlo al cliente e lui non l’aveva fatto. Ci aveva detto: “Vardé fioi che questo manifesto è un po’ pericoloso, portatelo via prima”, e loro gli hanno chiuso la tipografia per cinque giorni. Si sparge la voce, nessuna tipografia voleva lavorare con noi.
Lili. Abbiamo fatto tre numeri, noi componevamo il giornale e facevamo anche i disegni, nel primo numero abbiamo messo in prima pagina il ritratto di Malatesta.

Elis. Perché finisce L’Internazionale fatto a Venezia?
Silvano. Perché non gli andava bene quello che scrivevamo.
Lili. Tutto si svolge in fretta, i tempi sono rapidi. Noi avevamo parlato, non so se nel primo o nel secondo numero, di don Milani… o forse ne avevamo solo discusso, fatto sta che questo a loro non piaceva. Noi con i cattolici discutevamo. Loro erano i compagni storici, e verso i giovani, verso i nuovi come eravamo noi erano diffidenti.
Silvano. Noi eravamo trasversali. Ce l’hanno scippato. Siamo andati a fare un convegno in Romagna, a Ravenna mi pare, dovevamo trovarci alle 11 di mattina e loro – tra cui Pio Turroni, Ugo Mazzucchelli[6] e Bazzocchi – si sono trovati alle nove. Proetto, un socialista, ci aveva detto: “li conosco, quelli si trovano prima”, e infatti siamo arrivati prima in stazione e li abbiamo trovati che erano già arrivati e che parlavano tra di loro, insomma quando siamo arrivati abbiamo capito che avevano deciso tutto[7]. Turroni era il vescovo, per capirci: non passava niente se non era d’accordo; Chessa e Turroni erano i vescovi.
Elis. Sarà stato un vescovo ma era di una grande rettitudine, ha continuato a fare il muratore fino alla fine, ed era il riferimento per tutti gli anarchici americani.
Silvano. Ha continuato a fare il murèr, quello era il suo bello.
Piero. I rapporti sono rimasti o si sono chiusi?
Silvano. Sono rimasti quelli di prima, non erano rapporti veri, noi lavoravamo e poi discutevamo, gli altri gruppi invece discutevano… Andavamo volentieri a trovarli, Turroni era simpatico, simpaticissimo, le storie che raccontava erano bellissime, di quando era scappato dalla Francia con Leo Valiani ed era andato in Messico e negli Stati Uniti. Andavamo a trovarlo a Cesena: io, Enzo Di Martino, la Stella e la Lili, noi quattro. Noi dicevamo: i compagni anarchici devono avere un lavoro libero, non possono lavorare sotto un padrone, quando timbri cartellino sei uno schiavo. Anche la proprietà, qualunque proprietà, anche la casa: ti obbliga… un rivoluzionario con la proprietà? Bazzocchi: Bazzocchi era un croupier, e io ho avuto una discussione molto dura proprio con Turroni, io dicevo: non può stare con noi… prova a pensare che mestiere è il croupier[8]. C’era un compagno che faceva il vigile: un vigile con noi?! Butta via la divisa e vieni con noi, fin che hai una divisa non ha senso. Poi è andato via; questo è il modo di pensare che avevamo noi.
Elis. Ma tu ce l’avevi su con tanta gente… Con Masini[9] eravate critici.
Silvano. Credo ben che eravamo critici! Mi sono trovato con Masini a Bologna o a Forlì, non ricordo, come parlava mi ha affascinato, i discorsi sull’esproprio proletario li ho sentiti da lui la prima volta, ero giovane: lui era un intellettuale, bravo… Tanti anni dopo siamo andati a trovarlo – ti ricordi Lili? –, tornavamo in macchina da Milano, credo, lui era provveditore agli studi a Bergamo. Ci ha accolto, la governante ci ha portato la cioccolata o il tè non ricordo, gli ho chiesto: “ma ti ricordi quei discorsi?”, e lui: “sì, ma quel periodo è superato…”, per lui sarà stato superato, certo, ma il pensiero non è mai superato!
Lili. Con un lavoro di quel tipo…
Silvano. Qui a Venezia venivano da tutte le parti del mondo i compagni a trovarci, prima ancora della libreria. Mariani, per esempio, quello dell’attentato al Diana[10]. C’erano compagni che non erano tanto d’accordo: non erano d’accordo prima sull’attentato che aveva fatto da giovane, e poi perché quando c’era stata la rivolta dentro il carcere Mariani era diventato pacifista, nonviolento, era un uomo dolce, comunque non ha partecipato; il movimento non lo voleva e lui veniva sempre da noi. In carcere con Mariani c’era Sante Pollastri che animava la rivolta, anche lui come Mariani aveva l’ergastolo… Sante Pollastri manda un mitra a Mariani che ha preso il mitra, lo ha appoggiato a terra e ha detto no – questo me lo raccontava Mariani. Noi eravamo sempre critici con i compagni vescovi, chiamiamoli così, mentre i compagni di base venivano sempre a trovarci. Veniva a trovarci Umberto Marzocchi[11], era uno che si parlava e si commuoveva. Il gruppo di Trieste erano bravi: Tommasini[12], Vigna[13], Bruch che era sempre arrabbiato, un anarchico vero[14].
Lili. Adoravo Tommasini, lo ascoltavo parlare della guerra di Spagna, diceva “para aquì, para là”…
La marcia antimilitarista (1969)
Silvano. Non ci mettevamo la bandiera degli anarchici, non ci interessava.
Lili. Però la Marcia antimilitarista la facciamo come anarchici, come Circolo Internazionale di Cultura Popolare… era la terza marcia antimilitarista da Milano a Vicenza, con i radicali[15].
Silvano. Nel 1969, abbiamo fatto la marcia in agosto, era l’anno in cui avrebbero ucciso Pinelli; c’erano Panessa (il brigadiere presente nella stanza dov’era Pinelli), e il commissario Calabresi, noi avevamo preparato un cartello da portare al collo durante la manifestazione, ci siamo accorti di due che partecipavano, ci siamo detti: “quelli sono poliziotti” (in borghese); Calabresi stava in disparte ma Panessa andava su e giù a parlare con i compagni, specialmente quelli più giovani; gli abbiamo detto: “Se devi marciare con noi ti devi mettere questo cartello”, lui: “no, no…”, e allora: “Ti va via, ti e anche quell’altro”, Calabresi che lo aspettava in macchina. Pannella non voleva, perché possono venire tutti; no che non possono venire tutti, loro non possono venire con noi. Abbiamo avuto una discussione con Pannella che invece diceva che potevano partecipare alla marcia anche loro, e dopo hanno ucciso Pinelli…
Lili. Siamo passati anche davanti a Peschiera, non è successo niente; a Brescia invece hanno bastonato Cicciomessere, gli hanno fatto una fasciatura come una mummia per far scena. A Milano prima ancora di partire c’è stata una baruffa tra i radicali (contestavano Pannella) che c’è anche una foto con il contestatore che volta le spalle e va via. A Bergamo ci hanno gridato dietro: “Andé a lauràr”, “oho, xe agosto!… Gli unici che lavora dobbiamo essere noi?” Mi ricordo il volantinaggio in mezzo alle macchine.

La via femminile
Piero. E La via femminile?
Lili. La via femminile era in crisi, facevano il giornale a Milano, c’era Adele Faccio… erano in crisi economica, hanno fatto una riunione, ci sono andata con la Stella… La Stella era affascinante, con un gran cappello nero, questo ha fatto effetto… Arriviamo da tutte le parti d’Italia perché ci piaceva questa rivista, siamo lì perché questi dicono: “abbiamo dei problemi economici”, sono tornata a casa e Silvano ha detto: “portiamo la rivista qua”, Enzo quella volta ga dà i numeri[16].
Silvano. Diceva, Enzo: “no vogio più savér de voialtri”… aveva ragione, non avevamo una lira. Allora abbiamo preso la rivista, la redazione veniva qui da Milano, noi facevamo la grafica, direttrice era Luciana Boccardi, stampavamo da Cesare Lombroso[17], la Stamperia di Venezia, bravissimi.
Lili. Anche loro pieni di debiti… Cesare era un sognatore.
Silvano e Lili. Una volta abbiamo pubblicato un numero con un articolo di Adele Faccio sull’aborto, e Luciana Boccardi dice: “dobbiamo bloccare il numero”, pensava che fosse una propaganda dell’aborto e un giudice amico suo le aveva detto che potevano denunciarci, noi avevamo già stampato. E allora abbiamo incollato su ogni copia – ne stampavamo duemila –, il nome del nuovo direttore, che era Guido Tassinari, tra i promotori dell’AIED [Associazione italiana educazione demografica] e fondatore poi dell’Associazione per lo Sbattezzo a Fano.

Torna a parte I e parte II, continua con parte IV.
[1] Pio Turroni (Cesena 1906-Cesena 1982). Muratore, anarchico. Durante il fascismo in esilio in Belgio e in Francia, dove si lega in amicizia con Camillo Berneri; volontario in Spagna con la Colonna Rosselli; evaso da un campo di concentramento francese nel 1941, ripara in Messico. Rientra in Italia nel dicembre 1943, a Napoli, dove fonda le edizioni Antistato.
[2] Aurelio Chessa (Putifigari, Sassari 1913-Rapallo 1996). Dipendente delle Ferrovie dello Stato, anarchico, all’epoca custodiva l’Archivio Famiglia Berneri.
[3] Giuseppe Brunetti (Venezia 1907-Venezia 1985); il figlio, l’economista Giorgio Brunetti, professore a Ca’ Foscari e alla Bocconi di Milano, ne rievoca la figura in Uno spirito libero, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, Venezia 2017.
[4] Aldo Pontiggia (Vittorio Veneto 1919-Vittorio Veneto 1997). Attivo nel movimento anarchico, nel 1963 pubblica l’opuscolo Controllo delle nascite con le edizioni Antistato di Pio Turroni.
[5] Mario Moret (Vittorio Veneto 1904-Vittorio Veneto 1975). Al confino negli anni Trenta, partecipa alla Resistenza, anarchico.
[6] Ugo Mazzucchelli (Carrara 1903-Carrara 1997). Anarchico fin dal Biennio rosso; partecipa alla Resistenza sopra Carrara; alla fine degli anni Settanta aderirà alla Lega per il Disarmo Unilaterale.
[7] Nel n. 3 dell’Internazionale la “commissione incaricata dal Convegno di Pisa del 19 dicembre 1965 di curare la preparazione di un giornale quindicinale” comunica di non aver “ritenuto opportuno continuare il giornale nella sua impostazione e presentazione attuale, tenuto conto anche delle eccessive spese che queste comportano”; la commissione è composta da Aurelio Chessa, Luciano Farinelli, Italo Garinei, Emilio Frizzo, Attilio Bazzocchi, Pio Turroni (Redazione del giornale, “L’Internazionale. Quindicinale anarchico”, I, n. 3, 15 aprile 1966).
[8] Nei primi anni Trenta Bazzocchi era stato denunciato dalle autorità di PS quale giocatore d’azzardo (si veda G. Landi, F. Melandri, Bazzocchi Attilio, in Dizionario biografico online degli anarchici italiani, Bazzocchi Attilio, https://www.bfscollezionidigitali.org/entita/12995-bazzocchi-attilio): forse la notizia che fosse un croupier nasce da qui.
[9] Pier Carlo Masini (Cerbaia, Firenze 1923-Firenze 1998). Autore di Storia degli anarchici italiani: da Bakunin a Malatesta, Rizzoli, Milano 1969 (una recente riedizione è Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Berneri, a cura di Franco Bertolucci e Giorgio Mangini, BFS, Pisa 2023).
[10] Giuseppe Mariani (Castellucchio, Mantova 1898-Sestri Levante, Genova 1974). Anarchico. Nel 1921 con altri compagni colloca al teatro Diana di Milano una bomba, destinata al questore di Milano, che fa 18 morti e quasi un centinaio di feriti. Condannato all’ergastolo, viene amnistiato nel 1946. Aderisce alla FAI-Federazione Anarchica Italiana.
[11] Umberto Marzocchi (Firenze 1900-Savona 1986). Aderisce agli Arditi del popolo; esule in Francia, volontario con gli anarchici in Spagna e a Barcellona nel 1936-37; dopo il 1945 impegnato attivamente con la FAI -Federazione Anarchica Italiana.
[12] Umberto Tommasini (Vivaro, Trieste 1896-Vivaro, Trieste 1980). Fabbro, anarchico. Confinato a Ustica e a Ponza; nel 1936 si arruola nella colonna Ascaso, comandata da Carlo Rosselli e Camillo Berneri; confinato a Ventotene; nel 1945 partecipa al congresso a Carrara di costituzione della Federazione Anarchica Italiana.
[13] Libero Vigna (Bologna 1906-Trieste 1986). Anarchico; nel 1927 si trasferisce a Trieste dove lavora in un’autofficina; nel 1945 partecipa alla fondazione del gruppo Germinal.
[14] Giordano Bruch / Bruk (Trieste 1908-Trieste 1984). Emigrato in Francia e in Belgio; al confino alle Tremiti e a Maratea; orologiaio; nel 1945 con Umberto Tommasini fonda a Trieste il gruppo Germinal.
[15] Il volantino che promuoveva la terza marcia antimilitarista da Milano a Vicenza, dal 26 luglio al 4 agosto 1969, si può vedere in https://archivio.serenoregis.org/images/a/a5/Terza_marcia_antimilitarista.pdf.
[16] Lili Olbi fu nel comitato di redazione de La via femminile dal numero 6 del 1971 (a. IV, n. 1 (6), febbraio 1971, indicata – e così sarà per tutti i numeri a venire fino alla chiusura della rivista – come “Lidia Olbi”). Da questo momento La via femminile, che usciva dal 1968, prima come trimestrale ma poi con cadenza irregolare (dal 1972 al 1975 un solo numero all’anno), ebbe una redazione veneziana, in campo San Silvestro, Rialto 1054/a. Questa divenne l’unica redazione per gli ultimi due numeri (11 del 1974 e 12 del 1975) che furono stampati a Venezia, con un formato e una grafica diverse da quella dei numeri precedenti, e con la presenza nel comitato di redazione anche di Adriana Urso/Stella [vedi parte I] e di Silvano Gosparini). Aprendo con il numero 11 quella che auspicava essere una nuova serie, la direttrice responsabile Luciana Boccardi riassumeva così i principali impegni della rivista negli anni precedenti: “La campagna per i contraccettivi e per una legge che regoli l’aborto non è solo un obiettivo per la liberazione della donna, ma un traguardo civile per la liberazione di donne e uomini insieme” (Luciana Boccardi, Ai lettori, “La via femminile”, 11, ottobre 1974, p. 7).
[17] Cesare Lombroso (Venezia 1910-Venezia 1989). Membro del CLN di Treviso. Dopo la Liberazione nella direzione del PSI; stampatore ed editore con la Stamperia di Venezia.
Lascia un commento