
Intervista a Silvano Gosparini e Lili Olbi, a cura di Piero Brunello e Elis Fraccaro. Ricordi di due artigiani e artisti nel campo della ceramica e della grafica, animatori di circoli politici e culturali a Venezia dagli anni Cinquanta a oggi. Origini famigliari, studi, lavoro. Aprire un laboratorio di ceramica e far fronte alle difficoltà di un’impresa economica. Burocrazia e debiti; lavorare e rischiare insieme; vendere in tutta Europa.
Presentazione. Ricordi di una vita, di Piero Brunello
Da tempo Elis Fraccaro mi diceva che dovevamo fare una intervista a Silvano e alla Lili, soprattutto per mettere a fuoco le iniziative anarchiche legate alla pubblicazione dei primi tre numeri della rivista L’Internazionale negli anni Sessanta, oltre che alla costituzione, in quegli stessi anni, del Circolo di cultura popolare aderente alla Federazione Anarchica Italiana, della libreria Internazionale e della Galleria Internazionale.
Elis e io ci siamo incontrati con Silvano e Lili il pomeriggio del 21 ottobre 2023, non nell’appartamento in affitto in cui abitano, davanti a Ca’ Foscari, ma nel laboratorio di incisioni tenuto da Lili, sempre a Venezia, praticamente in campo San Fantin. Mentre Claudio Stocco sistemava la registrazione video, mi perdevo a guardare i segni del tempo nella boiserie e in un armadio d’epoca, e pensavo che qui aveva alloggiato George Sand; la rivedevo al pianoforte e sentivo salire dal campiello le chiacchiere delle donne davanti casa, i suoni di galline e di cani, le voci dei bambini e il canto degli uomini al lavoro che lei rievoca nei suoi ricordi; e questa sensazione mi aiutava a entrare nella storia di una Venezia che Silvano e Lili mi stavano per raccontare, quando la città aveva centocinquantamila abitanti e c’erano botteghe, laboratori, osterie, vita all’aperto… E intanto la figura di George Sand mi ricordava Parigi, dove sapevo che prima Silvano e poi Lili avevano vissuto, e con cui a lungo avevano mantenuto rapporti culturali.
L’intervista è durata più di tre ore e si è sfilacciata in molti rivoli; un ricordo ne attivava un altro, un nome apriva digressioni che portavano il discorso in tutt’altra direzione, e non sempre poi riuscivamo a riprendere il filo. A Elis interessava mettere a fuoco un episodio di storia del movimento anarchico illuminando il ruolo del gruppo veneziano, a me ricostruire i luoghi della socialità cittadina basata su rapporti personali, di amicizia e di affinità. Spesso i due piani si intrecciavano, ma a volte rimanevano separati.
Dopo una prima trascrizione, Elis e io abbiamo individuato i punti in cui ci sembrava utile chiedere qualche chiarimento. Su questa base, e con nuovi interrogativi, sono tornato da solo da Silvano e Lili nel dicembre 2024, sempre nel laboratorio di incisioni a San Fantin, per un’intervista durata un paio d’ore.
Entrambe le interviste si sono svolte in veneziano. Nel montaggio della trascrizione ho cercato di dare un ordine, raggruppando i ricordi per temi o vicende. Le domande mie e di Elis erano perlopiù richieste di chiarimento su nomi, luoghi, persone, date che comparivano nei ricordi, perciò a volte mi è sembrato superfluo trascriverle; ho lasciato invece le domande qualora il dialogo metta in evidenza i diversi punti di vista di chi intervista e di chi risponde. Silvano e la Lili rispondono assieme, spesso Silvano chiede aiuto alla memoria della sua compagna che precisa un nome o un contesto e poi continua il discorso, per lasciarlo a sua volta a Silvano, che così riprende quanto sta per dire: e viceversa. Ne risulta un ricordo unico di due persone che hanno condiviso una vita, e mi è sembrato giusto attribuire il racconto a entrambi.
La scelta dei brani che qui presentiamo in quattro puntate intende illustrare una cosa che Silvano e Lili hanno detto come consuntivo della loro attività: “Noi lavoravamo e poi si discuteva, gli altri gruppi discutevano”. I temi riguardano pertanto gli anni della formazione e il lavoro con la ceramica, che va dal 1954 al 1965 (parte I); l’apertura del Circolo Internazionale di cultura popolare e della Libreria Internazionale, i contatti con il movimento anarchico, gli incontri favoriti dalla libreria e la costituzione del Canzoniere Popolare Veneto, dal 1962 al 1966 (parte II); la pubblicazione di tre numeri de L’Internazionale (1966), la partecipazione alla Marcia antimilitarista (1969) e la pubblicazione della rivista La via femminile nei primi anni Settanta (parte III); l’apertura del Centro Internazionale di Grafica (1971-1992) e dell’Atelier aperto, tuttora in funzione (parte IV).
Al momento della registrazione Silvano ha 94 anni, la sua compagna Lili una decina di meno, ed entrambi lavorano, lui da editore e lei insegnando tecniche di incisione; e continuano tuttora a farlo. [p.b.]
Dagli anni della formazione al lavoro con la ceramica (1954-1965)
Elis e Piero. Potete dirci della famiglia da cui venite, della formazione, e di come siete arrivati a fare la ceramica.
Silvano. Sono nato nel 1929 a Venezia, in un quartiere di impiegati, a Sant’Elena, c’era mio papà, che è morto quando avevo 11 anni, mamma e tre figli. Mio papà veniva dalla campagna, vicino a Spilimbergo, mia mamma da Bressa di Campoformido, due furlani; mio papà lavorava in banca, era terziario della Compagnia della Buona Morte della chiesa di San Cristoforo vicino a Rialto, andava con il cappuccio nero ai funerali, era molto praticante, faceva parte della San Vincenzo de’ Paoli, una volta che ero bambino è venuto il parroco a benedire la casa e lì ho capito da due parole di mia mamma che mio papà dava un po’ dello stipendio alla San Vincenzo, l’ho capito solo dopo, ma mi è rimasto impresso questo fatto e dopo ho ricostruito, mio papà era come sono io, generoso, solo che io sono un ateo e lui era un credente. Quando è morto mio papà, mio fratello che allora aveva 18 anni è andato a lavorare in banca, poco dopo però è andato militare e mia mamma ci ha tirato su come ha potuto… Quand’era in ospedale al Giustinian, già vecchia, avrà avuto 85 anni e io 50, sono andato a trovarla e mi ha detto: “adesso mi raccomando, trovati da lavorare”, “Ma mamma…”, “No, non è un lavoro serio quello che fai”, per lei non avevo mai lavorato. La mentalità era quella: il lavoro serio è sóto parón, quando uno ti dà i soldi sicuri. Mio fratello era ragioniere, è diventato direttore ACTV [Azienda del Consorzio Trasporti Veneziano], è stato quello che ha inventato la parola obliterare. Io ho fatto le tre medie al Sarpi e dopo ricordo che sono andato a Rovigo per un diploma che non mi ricordo, maestro forse, so che non mi ha servito un casso, ma per i genitori un tòco de carta serve. Cosa vuoi che serva un tòco de carta? Ho fatto un po’ di tutto, ho studiato un anno all’Accademia delle Belle arti, ho fatto l’artista… sono andato a Parigi a far l’artista, come si fa, poi finisci in cucina a lavare piatti, però ho imparato tante cose, ho imparato a fare la torta all’arancio; in una libreria anarchica ho conosciuto “Umanità Nova”; ho fatto l’artista come potevo e poi sono tornato qua. A Parigi sono stato un anno… ho mantenuto dei contatti con degli artisti che poi neanche loro ce l’hanno fatta. Dopo Parigi ho fatto il servizio militare, dopo sei mesi ho avuto un’ulcera allo stomaco e mi hanno mandato all’ospedale, quando sono stato congedato mi hanno dato una mantellina del ’15-18, sono tornato a casa così, mi ricordo vagamente ma Cencio [il pittore Vincenzo Eulisse][1] me lo ricorda ancora: sei smontato dal vaporetto vestito come nei film.
Lili. Sono nata a Venezia. La mia famiglia era metà atea (mio padre) e metà (mia mamma) cattolica. Non si erano sposati in chiesa fino a che non è morta una mia sorella. Mia mamma dipingeva mattonelle in casa (lavoretti per guadagnare qualche soldo) e ci metteva a disegnare fin da piccoli, mio papà lavorava all’ACNIL [nome dell’azienda comunale di trasporto pubblico, prima di diventare ACTV] e per nostro orgoglio portava il fiocco mazziniano anche sotto il fascismo (in casa tenevano il ritratto di Matteotti). Mio fratello più grande era operaio all’Arsenale, eravamo tre fratelli piccoli, e poi due più grandi con quindici anni di differenza. Da grande – grande si fa per dire –, volevo conoscere meglio la religione cattolica, e per due anni ho frequentato la parrocchia di San Canciano, c’era un prete giovane, don Carlo Corrao, era attivo con la GIAC [Gioventù di Azione Cattolica], molto simpatico, che mi affidava dei compiti; sotto casa mia in corte Morosina c’era un ceramista, prima aveva una piccola fabbrica a Murano “con il terzo fuoco”, una pittura che si dà sul vetro e si mette in forno; faceva riproduzioni di quadri, era originario della campagna… Piombino Dese… sopra abitavano e sotto aveva il laboratorio. Durante le vacanze di scuola allora mia mamma gli domanda se potevo lavorare da lui, io mi innamoro di questo lavoro, divento decoratrice, loro facevano “il biscuit”, che è un tipo di porcellana, significa cucinare la terra bianca e la si lavora con l’oro, era un lavoro affascinante; le famiglie attorno si lamentavano perché l’oro quando si cucina fa un odore bestiale, per questo a un certo punto chiude quel laboratorio e apre una fabbrica a Mestre in via Verdi; io e un’altra ragazza che faceva decorazioni come me andiamo a lavorare nella nuova fabbrica, allora avevo sedici anni, io stavo bene con loro, a me poi [ridendo] piace il proletariato. Tre anni dopo non poteva più tenermi e allora viene a casa mia per scusarsi di dovermi licenziare, una di noi che lavorava lì era di famiglia povera, e quindi decide di tenere lei, e lui viene a comunicarlo ai miei. Non voleva che si pensasse che mi lasciava a casa perché ero una incapace. Allora don Corrao mi porta da Silvano che lavorava la ceramica ai Miracoli, avevo diciannove anni, era il 1958.
Silvano. Il primo lavoro è stata la ceramica, nei primi anni Cinquanta, non avevo mai fatto, mi sono costruito un fornetto con le pietre, ai Miracoli, smaltavo…, una volta si poteva, adesso non potresti… era un fornetto a corrente elettrica, costava tanto, arrivavano le bollette e non sapevi come pagarle. Allora trovi un amico che lavorava alla Sade, lui ha trovato un altro amico che viene e mi ha girato il contatore che tornava indietro, consumavi mille e il contatore tornava indietro… allora sì che potevi pagare la bolletta. Mi domandi: come avete fatto? così abbiamo fatto. È arrivata la voce alla Sade, è arrivato un ispettore della Sade, non ha trovato niente, però ha trovato che eravamo attaccati sul 125 volt invece che sul 220, e ha fatto un verbale: evasione fiscale, ma questo, era un meridionale, mi ha detto: non preoccuparti, sistemo io, butto via il verbale, basta che tu mi dia una ceramica… una ceramica va ben, ma tutti i giorni una ceramica… Enzo Di Martino[2], che poi fonderà con me la Libreria Internazionale e la Galleria, se gà incazzà, dopo mesi che veniva a prendersi la ceramica e l’ha mandato via. Queste cose qua quando le racconti è da ridere ma quando le vivi sono tragiche. Enzo Di Martino, che ha fatto la storia della Biennale, era ufficiale di marina, alla fine anni Cinquanta, da noi lui veniva vestito da ufficiale, bello, elegante, lui veniva a curiosare, e io un giorno gli ho detto: se hai coraggio butta via la divisa e vieni a lavorare da noialtri, così capisci cosa vuol dire lavorare senza divisa e pane sicuro… e lui finita la ferma è venuto a lavorare con noi. È stato bravo bravissimo a lasciare la Marina è diventato uno di noialtri. Partecipa con noi alla marcia antimilitarista nel 1969 [vedi parte III], era un compagno conosciuto da tutti, era meridionale, sapeva parlare.
Lili. Nel contatto con il pubblico Silvano non sapeva parlare, Enzo invece sì, sapeva parlare; a lui piaceva scrivere, aveva cominciato a scrivere sull’Avanti.

Silvano. Il Dazio[3] ci dava problemi tutti i giorni, ce l’avevano con noi, non solo loro, anche i vigili ce l’avevano con noi. Una volta un vigile ci ha fatto un verbale perché noi travasavamo il vino in bottega come nelle osterie. “Non si può perché?”, “Perché dovete avere la licenza”, “Non abbiamo la licenza e non ci interessa un casso della licenza, il vino andiamo a comperarlo in bottega e lo travasiamo da noi”, “Non si può”, ci fanno il verbale, noi andiamo dal comando dei vigili, il maresciallo quando ci vede: “ancora qua?!”.
Lili. Eravamo ai Miracoli davanti alla chiesa, da Silvano comincio a vedere un mondo sconosciuto, gente che veniva da tutto il mondo, veneziani che andavano all’estero e tornavano a salutare. Un giorno vado e non trovo più nessuno, erano tutti alla manifestazione del luglio 1960, dopo i morti di Reggio Emilia, avevo 21 anni. Silvano aveva questo piccolo laboratorio dove faceva cose straordinarie. C’era la Stella [Adriana Urso detta Stella, che sposerà Silvano]. Luisa Ronchini [1933-2001] viene dopo, viene portata giovane dalla madre a Venezia, la famiglia era di Bergamo trasferitasi però a Bolzano, sua mamma l’aveva affidata a me: “Mi raccomando sa, signorina, le stia dietro perché ha un carattere difficile”, simpaticissima, c’era grande afflusso di pubblico che veniva perché c’era la Luisa. Ho lavorato la ceramica cinque anni con lei, fianco a fianco, eravamo molto amiche, quando uscivamo insieme la gente diceva: “guarda le tintorette…”. Lei era una diva, aveva i numeri per esserlo e lo era anche come persona, l’ho detto anche quando c’è stato un ricordo pubblico anni fa e tutti le avevano fatto un monumento che era brava e buona; era brava e buona ma ci voleva tanto per sopportarla. Era un lavoro pesante… eravamo decoratrici, lei era molto brava, era brava la Luisa, faceva anche bassorilievi… Da lì sono usciti artisti come Sandro Brasi che ha aperto un’attività in Svezia.
Silvano. Io tiravo avanti, da solo ce l’avrei fatta, ma insieme con altri facevo fatica, quando arrivava il sabato per lo stipendio, allora si pagava il sabato, e il sabato non c’erano mai soldi, andavo dal mio amico marmista giù del ponte e gli dicevo: “Angelo prestami i soldi per pagare”, Angelo faceva lo stesso con me, eravamo sullo stesso piano… Ho detto: “fie, o chiudiamo bottega o continuo da solo”.
Lili. Luisa e io eravamo le operaie di Silvano, e Silvano a un certo punto ci ha detto: “dobbiamo fare tutti assieme, condividiamo i rischi”, tante volte andavo da Silvano e gli dicevo: “se non ci sono soldi dalli a lei, che è fuori di casa”; noi due – Luisa e io – siamo state d’accordo di restare conoscendo la situazione. Poi Luisa ha aperto un suo laboratorio verso l’Arsenale, ma da quel periodo non ci siamo più frequentate, lei aveva cominciato ad andare in giro a fare spettacoli con Bertelli, D’Amico…
Silvano. A un certo punto abbiamo trasferito il laboratorio di ceramica in calle della Testa, era un lungo magazzino dove siamo arrivati a lavorare in trenta persone, ci lavorava una nuvola de fioi e de fie, lavoravamo molto con i gessi, facevamo lo stampo in gesso e poi si buttava la creta liquida e quando la creta si era assodata si vuotava e si apriva il gesso, si cucinava e poi si decorava, gli stampi si riutilizzavano, quindi c’era bisogno di grandi spazi per conservarli. La cosa bella era che tutti facevamo tutto, solo le ragazze non mettevano mano agli oggetti grandi che pesano molto quando devi svuotarli; lavoravamo la ceramica artistica, vendevamo i nostri oggetti in una bottega che avevamo in campo San Filippo e Giacomo. Lavoravamo giorno e notte, anche la bottega era aperta fino a tardi; in società con un ebreo tedesco avevamo aperto anche una bottega a Colonia, Enzo Di Martino andava in giro in tutta Europa a vendere, era molto bravo, a un certo punto lavoravamo con i grandi magazzini, per esempio Harrod’s. Enzo che parlava inglese dava conferenze nei magazzini americani. Noi chiudiamo la ceramica a Venezia nel 1965 (con i soldi della ceramica finanziamo l’attività di grafica che avremmo aperto in seguito).


Lili. A Venezia con qualche giovane donna ci orientiamo allora sulla bigiotteria, cose meno pesanti e più creative, conosciamo e diventiamo amiche di una signora che era la compratrice di bigiotteria per conto di Coin [i grandi magazzini di Mestre che erano già diventati una catena] e così vendiamo a Coin, lei andava in giro per il mondo a vedere che cosa si sarebbe usato, in anticipo sulla moda, lei veniva e studiava con noi i modelli, c’era una produzione enorme per le sfilate, in quel periodo si guadagnava.
Nota. Le immagini in copertina e nel testo sono ceramiche realizzate ai Miracoli, riprodotte in Stella / Adriana, Centro Internazionale della Grafica di Venezia, Venezia 2020.
Continua con parte II; parte III e parte IV.
[1] Nel frattempo Vincenzo Eulisse è morto, il 26 ottobre 2024; era nato a Venezia nel 1936.
[2] Enzo Di Martino (Poggiofiorito, 1938-Venezia, 2023). Giornalista e critico d’arte.
[3] Il Dazio era un’imposta locale su merci introdotte nei centri urbani fu abolito nel 1972.
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