
Guardare al mondo di ieri con gli occhi di oggi; scrivere ascoltando Nanni Svampa, Enzo Jannacci e Gigi Meneghello; per la storia sociale di una città può essere utile un inventario dei fallimenti? Sull’ultima raccolta di scritti di Gigi Corazzol.
1. Il libro Improvvisi è una raccolta di interventi scritti da Gigi Corazzol dal 2013 al 2024; l’autore li ha rivisti per l’occasione. “Il sugo insomma è di metodo. Consiste nel ricordarsi sempre che il mondo non è nato ieri”, si legge nel primo degli interventi (p. 8). Penso che in queste parole stia il tono del libro. Il rapporto tra oggi e ieri si ritrova fin dai versi di Giovanni Boine, poeta novecentesco, messi in esergo: “Se vago lo sguardo, / con gli occhi di oggi / veggo il giorno di ieri”.
Improvvisi è composto di undici capitoli, in ordine cronologico di pubblicazione: otto nascono da letture di libri, quasi tutti freschi di stampa, uno è un ricordo dell’amico Ferruccio Vendramini, un altro ancora prende lo spunto dal trecento cinquantesimo anniversario della prima storia di Feltre per elogiare la quantità di ricerche erudite che si possono trovare in internet, l’ultimo infine è una risposta a un post sulla pagina facebook dell’associazione feltrina Il Panfilo. Nove sono stati pubblicati nel sito dell’associazione storiAmestre che all’epoca curavo insieme a Filippo Benfante e ad altri due amici, Enrico Zanette e Andrea Lanza; uno è uscito nella “Rivista feltrina” e l’ultimo nella pagina facebook di CRODAp. Gigi – lo chiamo così perché ci conosciamo da più di cinquant’anni – ci mandava i suoi contributi, a volte chiedendo se valesse la pena di renderli pubblici. Filippo Benfante e io li discutevamo. Due anni fa anch’io ho raccolto i miei scritti in un libro il cui sottotitolo è Domande di oggi, storie di ieri. Adesso che ho tra le mani Improvvisi, e mi soffermo sull’esergo, mi rendo conto di quanto il mio libro sia debitore di quelle discussioni, e in particolare della lettura degli scritti di Gigi. Aggiungo solo che dopo aver chiuso l’esperienza con sAm, con Filippo e Luca Pes abbiamo aperto il sito altrochemestre.it, con Enrico Zanette come webmaster, e ci fa molto piacere che Gigi sia tra i nostri collaboratori.
2. In un punto del libro Corazzol cita un Mambriano Manfrin (“mio indimenticabile maestro”) che diceva: “Se decidiamo di studiar qualcosa facciamo che sia per un qualche perché” (p. 164).
Quali sono i perché di questi scritti? Trattandosi di letture di libri, il primo motivo è che Gigi i libri di cui parla li compera. Faccio l’esempio del capitolo più lungo di tutti gli altri (una cinquantina di pagine in un libro che ne conta 172 con frontespizio e indice), dedicato alla curatela del diario di Bruno Trentin dal 1956 al 1958. I rilievi mossi “sono frutto – scrive Corazzol – dell’insoddisfazione di un lettore pagante”. Seguono 48 pagine in cui sono elencati errori nel testo, errori nelle note, errori nell’indice dei nomi. Gigi si rivolge al lettore, salvo ogni tanto parlare tra sé e sé, col risultato che il testo a volte sembra un copione di teatro. Dopo un ennesimo elenco di errori spiegati al lettore, e dopo aver ripetuto che molti errori potevano essere evitati con una semplice ricerca su Google, Corazzol parla tra sé e sé: “(A parte). In malora google. Quello che mi fa soprattutto venire il nervoso è che nella quasi totalità dei casi per sbrigare bastava una telefonata” (p. 109).
Se Corazzol giudica un libro lo fa per esercitare quindi un diritto del consumatore. Uno dei titoli dei capitoli è Lamento per 18 euri trasàa (sperperati). Trasà in milanese significa sperperare (trasà el fiaa). Perché soldi buttati? Si tratta di un libro di corrispondenza tra Gadda e Parise, di 323 pagine, in cui le 15 lettere di Gadda occupano 34 pagine e le tre lettere di Parise ne riempiono, per così dire, 4. Le rimanenti 284 pagine sono di corredo, sovrabbondante. Corazzol elenca parecchi esempi, tra cui un brano di cinque righe che potevano diventarne una. Perché questa mole di pagine? Per giustificare 18 euri. Gigi esprime il dispiacere per avere buttato via i suoi soldi, protesta perché “la si pianti una buona volta di pubblicare le lettere di Gadda in dosi omeopatiche” (p. 73), e conclude così: “Il lettore pagante ha i titoli per far suo il lamento del palo della banda dell’Ortica” (p. 74).
Per i più giovani, la banda dell’Ortica è una canzone di Jannacci che parla di uno che fa appunto il palo di una banda di ladri, mezzo orbo e mezzo sordo, “fisso che scrutava nella notte”, a cui i passanti danno cento lire: “Ma come – fa il palo – , a me mi lascian qui di fuori / E loro, loro chissà quand’è che vengon su / E poi il bottino me lo portano su a cento lire / Un po’ per volta, ma a far così non finiamo più”.
Ho detto del milanesismo dei 18 euri trasàa; ed ecco qui una canzone di Jannacci. Non è l’unica canzone milanese. Ecco un passo dallo scritto in memoria di Ferruccio Vendramini: “Una storia sociale delle piccole città attenta solo ai successi è una storia buona per le domeniche della vita, quelle con discorso in renga [espressione del linguaggio amministrativo veneziano, ndr], bandedàffori, mostaccioli e ciupaciù. Le peggio. Siamo sicuri che per capire come mai siamo quel che siamo, non serva anche un inventario dei fallimenti?” (p. 142). Anche qui per i più giovani: con le bande dàffori Corazzol si riferisce alla canzone milanese Il tamburo della banda d’Affori; Nanni Svampa prende il posto di Jannacci.
(A parte, tra me e me). La prossima volta che dovessi ragionare sui libri di Gigi mi piacerebbe fare un’analisi dei contesti e delle tonalità emotive in cui compare il milanese, la cui presenza mi sembra vada crescendo negli ultimi tempi. I libri di Corazzol si inseriscono in una tradizione lombarda? E poi, perché abbassare il registro stilistico con reminiscenze lombarde ogni qualvolta si debba sottolineare la conclusione (seria, serissima) di un ragionamento? Rimanendo a Improvvisi, Carlo Ossola, autore di un libro sulla fortuna di Erasmo in Italia (Erasmo nel notturno d’Europa, Vita e pensiero 2015) incolpa lo storico Delio Cantimori, comunista, di aver impedito tra il 1945 e il 1960 all’editore Einaudi di pubblicare l’opera di Erasmo, perché ispirata a concezioni liberali. Corazzol fa notare che in quel periodo uscirono per Einaudi quattro edizioni di Elogio della follia di Erasmus, e che nello stesso periodo molte edizioni ne uscirono in Italia. Ora, osserva Corazzol, un conto è il duello tra Ettore e Achille, un altro è prendere a randellate uno storico morto cinquant’anni prima. Ossola gli ricorda Tecoppa, un personaggio del teatro comico milanese creato da Eduardo Ferravilla: “applaudire al trionfo per ko del Tecoppa (Ferravilla) sul quondam Cantimori, bene, a questo dico no” (p. 69).
Insomma serve una rassegna dei milanesismi. Far caso agli echi un po’ ovunque di Luciano Bianciardi del periodo milanese. Fine dell’a parte.
3. Un secondo motivo di fastidio per i libri scritti male deriva dal fatto che non si capisce perché da chi ti aggiusta un rubinetto o ti cambia le gomme della macchina si pretende un lavoro come si deve, e invece si accetti supinamente la sciatteria, o peggio, in chi scrive un libro, una curatela, una recensione. In altre parole la scrittura è una faccenda seria: e altrettanto la lettura. Mi è capitata sottomano una mail con cui Gigi, nel 2010, mi chiedeva di leggere un suo scritto: “siamo lontani dalla fase scartavetrare; piuttosto roba bottacalda. Se hai tempo e voglia un parere è benvenuto. Il centro della questione è se la voce sotto suona credibile o sono balle.”
Il nervoso di cui parla Corazzol a proposito dei diari di Trentin è maggiore quando chi fa un lavoro malfatto si dà delle arie di superiorità, da intellettuale. Alla cura del diario di Bruno Trentin si è dedicato quello che viene presentato nel libro come uno “specifico gruppo di lavoro permanente”, emanazione della segreteria della CGIL (nota di Corazzol: “Auspico che permanente abbia a essere semmai il gruppo. Non il lavoro. I riposi a scadenze regolari sono un diritto antico quanto la creazione.”)
Verso la fine dell’intervento sul diario di Trentin, Corazzol si rivolge non allo “specifico gruppo di lavoro permanente”, al quale dedica la nota sarcastica che ho appena letto, ma direttamente al sindacato che una volta si chiamava dei lavoratori di scuola e università, e che da un po’ di tempo si chiama Lavoratori della conoscenza CGIL. Più di una volta Corazzol ha deplorato l’abitudine degli storici di cantare sopra la voce altrui (quella delle fonti), perciò mi guardo dal farlo: questa è la voce di Corazzol.
“Io (Ai lavoratori della conoscenza). Compagne, compagni! Amate le designazioni à la page (tutte creatività da chiodi?). Ottimo. Ma volete dirmi, in confidenza, come fate a sopportare una qualifica tanto scriteriata? Il mondo è diviso in due, lavoratori della conoscenza vs lavoratori e basta? Con voialtri, i lavoratori della conoscenza, nelle aule serene del tempio, ministri della luce. Fuori, un borgo buio stracolmo di Calibani inchiodati ai servizi manuali. Non posso credere. Adieu, lavoratori della conoscenza, à jamais.
Vero che sono vecchio, che le passioni di gioventù sono ormai braci incinerate, che alla riscossa sotto la luna non canto più, tutto vero, ma c’è ancora qualcosa in me che prende a bollire a fronte del fatto che la curatela dei Diari di T., affidata oltretutto non al solito tuttofare per i soliti quattro soldi, bensì a uno specifico gruppo di lavoro permanente costituito dalla “Fondazione Giuseppe Di Vittorio, d’intesa con la segreteria della CGIL” (quindi, se sbaglio mi correggerete, pagato con le quote di iscrizione di lavoratori e pensionati) non regga il paragone con quella del diario di Claretta Petacci. Altroché, se bolle.
Lavoratori della conoscenza! È giunta l’ora del vostro riscatto.
Aux armes! Adunata e contrappello! Nei vostri bataillons d’élite vuoi non ci sia un fantassin capace dell’umbratile misericordia di un’edizione decente? E, mi raccomando, cambiatevi il nome! Da subito! Alé. Non ne vedete il motivo? Fatevelo spiegare dal primo metalmeccanico, tessile, chimico, edile con cui vi capiti (se vi capita) di far due chiacchiere” (pp. 134-135).
Fin qui Corazzol. Faccio solo notare che la sua reazione non sarebbe stata così veemente se il libro non fosse stato pubblicato dalla casa editrice della CGIL. Perché ha voluto rendere pubblica la sua insoddisfazione? “Perché – credo – sempre Corazzol – che il primo segno di rispetto per la memoria di un dirigente del movimento operaio preveda, quando ci si occupi dei suoi scritti, di curarli secondo esige lo stato dell’arte” (p. 86). E dove è quell’abbassamento del registro stilistico che dicevo precedere una dichiarazione conclusiva? È nel passaggio centrale, prima dell’appello perentorio al sindacato a cambiare per prima cosa il nome. Rileggo il passaggio: “Vero che sono vecchio, che le passioni di gioventù sono ormai braci incinerate, che alla riscossa sotto la luna non canto più, tutto vero, ma c’è ancora qualcosa in me che prende a bollire” eccetera. I più vecchi sentiranno in sottofondo un coro di Avanti popolo alla riscossa mescolato alla voce di Claudio Villa che canta “Vecchia Roma, sotto la luna nun canti più/ Li stornelli, le serenate de gioventù”.
4. La recensione del libro di Luciano Mecacci dedicato all’uccisione nel 1944 di Giovanni Gentile, filosofo ufficiale del fascismo (La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi 2014) è un condensato di consigli per chi voglia fare ricerca storica. Ricordo che il libro di Mecacci ottenne il premio Comisso per la biografia.
“Ascoltami, caro lettore, per una volta che provo a parlare sul serio. Occuparsi di storia (se ne scriva o meno) significa essenzialmente intendere contesti” (p. 41). Tra i tanti esempi ne scelgo uno. Mecacci spiega il comportamento del partito comunista clandestino milanese nel 1944 come dettato dalla volontà di “coltivare l’egemonia culturale di gramsciana memoria” (p. 46). Scrive Corazzol: “non è interessante la notizia che negli ambienti comunisti milanesi le riflessioni di Gramsci sull’egemonia erano già pane quotidiano nella prima metà del 1944?” (p. 47). Per chi non conoscesse la storia della fortuna di Gramsci in Italia dico che i Quaderni del carcere di Gramsci furono conosciuti in Italia grazie a pubblicazioni avvenute dopo la guerra, tra il 1948 e il 1951.
Mecacci, osserva Gigi, indossa la toga del pubblico mistero. Da cosa si deduce? Dalla scrittura. “Capirete bene – osserva Corazzol – che a forza di una utensileria argomentativa fatta di deduzioni, congetture, giocoforza supporre, forse, implicitamente, e/o, prodiga di verbo al condizionale e congiuntivo, mi sono inquietato”, perché il genere storico “prevede si propongano pensiero, parole ed opere accertati” (pp. 51-52).
Scrivere di storia richiede una scrittura sorvegliata, che rifletta sulle parole. Ecco come Corazzol prende un brano di Mecacci e fa delle osservazioni puntuali sul lessico. Scrive dunque Mecacci: “Per il Duce [maiuscolo di Mecacci ndr] la tomba di Gentile doveva stare fra quella dei grandi della storia d’Italia […]. Il destino portò quindi Gentile nel Tempio degli Italiani [maiuscolo di Mecacci] celebrato dai Sepolcri di Ugo Foscolo – il poema che fu l’oggetto del suo tema d’italiano all’esame di licenza liceale” (p. 54). Commenta Gigi: “Primo. Non il destino: il duce [minuscolo, prego ndr]. Secondo. Il tema della maturità, obiettivamente, non c’entra gran che. Se Mecacci mirava a segnalare una coincidenza, sarà lui il primo a convenire che un termine come combinazione, o una formula come ‘il caso vuole’, eccetera, sarebbero stati assai più acconci di destino. Il libro offre anche il testo della lapide. In essa, scrive Mecacci, Giovanni Gentile viene ‘immortalato’. Non verbi neutri come definito/proposto/ricordato eccetera. Immortalato. Ma cosa vuoi immortalare avrebbe ululato dalla sua branda il piantone Giazza, sempre lodata la sua memoria (cfr Luigi Meneghello, I piccoli maestri, edizioni a piacere)” (pp. 54-55).
Non sto a dire l’influsso di Meneghello nella scrittura, e non solo, di Gigi. Di insegnamenti di Meneghello ne dico solo uno, riprendendo le parole di Corazzol: “che aver buttato giù le statue, scalpellato i fasci di gesso e dato una mano di bianco alle scritte più ebeti era doveroso, ma in fin dei conti robetta – che bisognava calarsi più giù, occuparsi del nostro senso comune, del nostro fascismo automatico, fisiologico, quello vero, che non sa di esserlo” (p. 59).
5. Come si sarà capito, a leggere Gigi Corazzol ci si diverte molto. Leggere per credere. A me non resta che scegliere un ultimo esempio, tra i tanti, per chiudere. Anzi, ne aggiungo uno ancora, perché parla di Feltre, dato il luogo in cui ci troviamo.
Scelgo tre pagine in cui Gigi presenta alcuni brani della biografia di Leo Longanesi, di Franco Gàbici, seguiti da giudizi tra parentesi sulle qualità stilistiche del biografo, che è Franco Gàbici. «“Mussolini, questo bisogna riconoscerglielo, badava più alle persone che alle idee” (psicologo), “possiamo dire che Leo la aveva fatta davvero fuori dal vaso”; (stilista, registro basso). […] Procedo per riassunto – scrive Gigi – con inserti d’autore. Mussolini nel 1932 proclama “aria al popolo” e scatena “il piccone demolitore” contro la vecchia Roma. Longanesi tuona contro “lo scempio edilizio”, ma la sua sarà “la classica voce che grida nel deserto”. Giusto per la precisione. Gridò nel novembre del 1950 (filologo)» (pp. 148-150).
Dicevo di un brano che parla di Feltre. Dal libro di Nicola Gardini, I baroni. Come e perché sono fuggito dall’università italiana, scelgo un passo in cui l’autore ricorda la volta che una collega le aveva telefonato per comunicargli che non era stato chiamato professore associato, dicendogli: «“Era scontato che toccasse a te. Era un tuo diritto. Che perdita per Feltre! La letteratura è finita! Quanto mi dispiace…” (Ovviamente finita per Feltre)» (p. 25).
Ovviamente la letteratura non è finita per Pedavena, come dimostra questo libro. Non sono io a tirare in ballo Pedavena. Ecco come l’autore di Improvvisi si presenta nel risvolto di copertina: “Gigi Corazzol è nato a Milano nel 1945. Nell’agosto del 1997 il comune di Pedavena (BL), previa ispezione da parte del giandarme borghigiano di tutta la casa, soffitte comprese, gli ha concesso la residenza. Per le spese si vale, cibi cotti eccettuati, del discount Prix di Feltre, sito in Via Alpago Novello 1”.

Nota. Testo del discorso tenuto all’incontro Improvvisi, di Gigi Corazzol, Caffè Letterario-Enaip, Feltre, 8 gennaio 2025. L’immagine di apertura è un dettaglio della copertina, che riproduce Spruzzino di Rosario Morra. La stessa immagine è ripresa nella quarta di copertina (riprodotta qui in parte, insieme all’aletta con la biografia dell’autore). La copertina Improvvisi ha il marchio Edizioni DBS, che hanno curato la stampa (172 p., finito di stampare settembre 2024); il libro non ha numero ISBN, né prezzo.
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