Laguna e Terraferma: due sguardi e due storiografie. Nuove prospettive nell’epoca dei cambiamenti climatici. Storia del MOSE scritta dal futuro.
1. Qualche settimana fa mi hanno chiesto un intervento d’occasione: come un editore “di terraferma”, la veronese Cierre, si occupa di temi veneziani. Ho scelto di cominciare dalla prima pubblicazione, uscita nel 1995 e dedicata alla laguna, perché in quei giorni mi era capitato sotto gli occhi un documento dal titolo Tornare nel Delta al tempo della crisi climatica. Per cambiare gli sguardi e i metodi d’intervento sui territori, fatto circolare il 31 ottobre scorso in occasione della presentazione a Ferrara del romanzo di Wu Ming 1, Gli uomini pesce (Einaudi, Torino 2024), e ora consultabile nel sito dei Wu Ming. Il testo, frutto di un lavoro collettivo di ricerca svolto negli ultimi due anni, guarda al Delta del Po cercando di immaginare come il mare Adriatico, se le attuali previsioni sono fondate, sconvolgerà nel corso del secolo che stiamo vivendo l’area costiera dalle Marche a Trieste. La seconda cosa che mi ha fatto a riprendere in mano il libro sulla laguna è il conflitto, nelle ultime settimane emerso in modo esplicito, tra le esigenze di Venezia e della laguna e quelle del porto commerciale di merci e passeggeri: con le paratoie del Mose che si alzano sempre di più per impedire al mare di sommergere la città, le navi non possono più entrare in laguna. Mi ha fatto anche riflettere la notizia della nascita di nuove isole dentro la laguna come il Bacàn, la striscia di terra che si formava in estate per essere distrutta dalle maree d’inverno, e che ora è diventata stabile e in crescita, mentre al contrario le barene subiscono un forte processo di erosione.
2. Non ho partecipato al volume La laguna, del resto allora non avevo ancora pubblicato con Cierre. Ricordo però che andai a prendere alla stazione di Santa Lucia Gerardo Gerard, coordinatore editoriale del volume, che non conoscevo. In Cierre conoscevo invece ed ero amico, grazie all’amicizia con Mario Tonello, di Irene Insam e Corrado Brigo, e in seguito di Maurizio Miele. Ricordo questo perché un editore è una rete di relazioni.
Era la prima volta, mi disse Gerard, che Cierre sbarcava, per così dire, in laguna. I saggi erano affidati ai migliori studiosi. Ricco l’apparato iconografico, e altrettanto la scelta di schede tematiche. Si capisce perché dalla metà degli anni Novanta Cierre sia diventato un interlocutore serio e affidabile per quanti si occupano di storia di Venezia.
Il libro voleva essere un contributo alle accese discussioni di quel periodo. Il progetto di Expo era stato da poco bloccato da una grande mobilitazione cittadina e internazionale; la progettazione esecutiva del MOSE aveva appena ottenuto il parere favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ma aspettava ancora la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che sarebbe stata negativa. Nell’introduzione del volume Angelo Marzollo, responsabile di un progetto Unesco relativo a Venezia, definiva il progetto di Expo 2000 un “kitch avveniristico” che ricordava l’auspicio di Marinetti di una Venezia moderna sostanzialmente cementificata, e si augurava che il volume potesse essere un “significativo contributo ad una vera salvaguardia di Venezia e della sua laguna” (p. XXI); Giovanni Caniato, uno dei tre curatori del libro (gli altri erano Eugenio Turri e Michele Zanetti), concludeva il suo saggio con l’auspicio che gli amministratori prendessero consapevolezza dei problemi e dell’urgenza con cui dovevano essere affrontati (p. 247).
Riassumendo i contributi del volume, e soprattutto quelli di Vladimiro Dorigo e di Ernesto Canal, Eugenio Turri sottolineava il fatto che la laguna è una costruzione fatta da “uomini che, a un certo momento della loro storia, hanno visto il mare minacciare i loro insediamenti (in età romana l’attuale territorio lagunare era centuriato e quindi popolato)”, e hanno costruito uno spazio lagunare (pp. 5-8), per poi difenderlo dai pericoli dell’interramento.
E la situazione al momento in cui usciva il libro? Allarmante: i fenomeni di eustatismo e di subsidenza verificatisi nel corso del Novecento potevano portare alla fine della laguna. Come all’epoca di Cristoforo Sabbadino, nel Cinquecento, la sopravvivenza della laguna sembrava affidata alla difesa dalle minacce provenienti dalla terraferma: non più solo dal corso dei fiumi che interravano la laguna e apportavano inquinamento agricolo, ma anche dalla zona industriale che minacciava quello che veniva definito un “fragile” e “delicato” equilibrio. Porto Marghera, peraltro in fase di smantellamento, rivelava la propria “incompatibilità con la laguna” (Turri, La valva, p. 31).
Il clima culturale e politico di fine millennio spiega la struttura del libro, cha mette a fuoco l’origine e l’evoluzione dell’ambiente fisico lagunare (livello e caratteristica delle acque, flora e fauna) in rapporto al governo idraulico e ambientale del territorio; oltre a questo il libro dedica molta attenzione alle attività e ai mestieri tradizionali, compresi i lavori all’Arsenale; nessun interesse invece per la presenza del porto (come ho detto, il MOSE non era ancora stato approvato).
3. A trent’anni di distanza è interessante inserire questo volume nel clima culturale e politico di fine Novecento, caratterizzato da quello che pochi anni dopo, nella Storia di Venezia edita dalla Treccani, Luca Pes definiva una nuova ideologia veneziana, neo-insulare, che si focalizza “sulla città e la laguna intese come espressione di una civiltà e di una storia”: riscoperta della dimensione acquea della città (si pensi all’invenzione della Vogalonga); trasformazione di Porto Marghera da “polmone economico della città” a minaccia; idea della “unicità esclusiva” di Venezia; fine del modello della “Grande Venezia”[1].
È altrettanto interessante mettere a confronto questo sguardo con quello che sugli stessi temi di storia ambientale si andava sviluppando in terraferma. Il tema è la diversione dei fiumi, portati fuori dalla laguna e fatti sfociare in mare. A Venezia si ammetteva che questa diversione era stata attuata tra “incertezze, arretramenti e riprese”, “tentennamenti, sperimentazioni e, non di rado, insuccessi” (sono parole rispettivamente di Dorigo, in La laguna, p. 186, e di Caniato, in La laguna, p. 230): tuttavia era vista come un inconveniente necessario per uno scopo superiore, ovvero la salvaguardia della laguna. In terraferma invece, penso al Centro di documentazione storico-etnografica del Veneto orientale “Giuseppe Pavanello” di Meolo, il taglio del Sile era visto come “un’autentica calamità”, che aveva seppellito la via Annia, reso impraticabili canali, campi e strade, e condannato alla malaria “i villani della bassa trevigiana”[2].
Siamo dinanzi ai confini mentali che dividono e contrappongono laguna e terraferma, di cui Luca Pes, nel saggio che ho ricordato, fece un attento inventario agli inizi del Duemila[3]. Pochi anni dopo, i comitati sorti a Mestre in risposta agli allagamenti del 2006-2007 ritagliarono un territorio che inizia alle risorgive e si ferma al bordo della laguna[4]; e viceversa l’attivismo civico messo in atto a Venezia dopo la sequenza di acque alte eccezionali del novembre 2019 non ha oltrepassato il ponte della Libertà[5].
4. Si possono unire questi sguardi? I recenti studi di Luigi D’Alpaos e Luca Carniello, che suggeriscono di reintrodurre in modo controllato l’acqua dolce dei fiumi e favorire il canneto in alcune aree della laguna, sono un esempio di uno sguardo che mette assieme corso dei fiumi, laguna e mare, acque dolci e acque salate[6]. Ma a mettere ancor più in discussione l’esistenza di due sguardi separati e di due storiografie – una di terraferma e una lagunare – sono i mutamenti climatici in atto. Se diamo credito alle stime, entro il 2100 (e oggi siamo già a un quarto di secolo), l’innalzamento del livello del mare Adriatico sarà dagli 80 ai 140 cm: naturalmente il mare continuerà prevedibilmente a crescere anche dopo il 2100… In altre parole, a nord e a sud di Venezia, il territorio rischia di andare sotto acqua. “E a che servirà il MOSE se l’acqua entrerà e dilagherà tutt’intorno?”: questa è la domanda posta dall’opuscolo ricordato in apertura, che vede Venezia e la sua laguna come “parte di un ben più vasto sistema di zone umide e territori in bilico tra terra e acqua”[7]. Il documento suggerisce di fare della laguna e del Mose un laboratorio per analizzare eventi, modelli di sviluppo, interventi e soluzioni su scala globale. Chissà come sarebbe strutturato oggi un nuovo volume, sempre pubblicato da Cierre, sui temi di Venezia, dei corsi d’acqua e della laguna: che sia arrivato il momento di pensarci?
Nota. L’immagine di apertura è un dettaglio della mappa dell’area settentrionale dell’Adriatico nell’anno 2100 con il mare più alto di 3 metri rispetto a oggi, allestita dall’artista Alex Tingle a partire dal 2006 nel suo progetto Flood Maps. La mappa intera è disponibile all’indirizzo https://flood.firetree.net/?ll=45.1475,11.7861&zoom=8&m=3&type=hybrid.
L’incontro a cui Piero Brunello si riferisce all’inizio dell’articolo si è tenuto giovedì 5 dicembre 2024, presso la Biblioteca Nazionale Marciana (Una riuscita esperienza editoriale a servizio del patrimonio culturale immateriale di Venezia, nell’ambito di “Storie sotto el fèlze”, ciclo di incontri organizzati da el fèlze, dall’associazione dei mestieri che contribuiscono alla costruzione della gondola – XXI edizione).
[1] Luca Pes, Gli ultimi quarant’anni, in Storia di Venezia. L’Ottocento e il Novecento, II, a cura di Mario Isnenghi, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2002, pp. 2398-2406 (il saggio alle pp. 2393-2435; è ora disponibile anche online: https://www.treccani.it/enciclopedia/gli-ultimi-quarant-anni_(altro)/).
[2] Guida ai luoghi e ai temi di Giuseppe Pavanello, a cura di Mario Davanzo e Guido Perissinotto, Nuova dimensione, Portogruaro 2007, pp. 58-59; La storia orale di… Mario Davanzo, Meolo (Venezia), a cura di Stefano Cattelan, 3 gennaio 2022, in https://www.aisoitalia.org/storia-orale-mario-davanzo/.
[3] Un inventario delle mappe mentali e delle parole per definire il territorio nella seconda metà del Novecento in Pes, Gli ultimi quarant’anni cit., pp. 2393-2398.
[4] Acque alte a Mestre e dintorni. Storie, luoghi, persone (2006-2012), a cura di M. Luciana Granzotto, M. Giovanna Lazzarin, Quaderni di storiAmestre 13, Mestre 2013.
[5] Piero Brunello, Venezia a Mestre. Mappe mentali e idee di città [2019], in Id., Gondole a Feltre. Domande di oggi, storie di ieri, Cierre, Sommacampagna (Verona) 2022, p. 157.
[6] Luigi D’Alpaos, Luca Carniello, Sulla reintroduzione di acque dolci nella laguna di Venezia, in 26. Giornata dell’ambiente. La salvaguardia di Venezia e della sua Laguna. In ricordo di Enrico Marchi, Atti dei Convegni Lincei (Roma, 5 giugno 2008), Scienze e lettere, Roma 2010, pp. 113-146 (disponibile online: http://www.image.unipd.it/l.carniello/publications/PDF/D’Alpaos&Carniello_LINCEI2010.pdf).
[7] Tornare nel Delta al tempo della crisi climatica. Per cambiare gli sguardi e i metodi d’intervento sui territori, in https://www.wumingfoundation.com/giap/2024/12/tornare-nel-delta-al-tempo-della-crisi-climatica/.
Lanfry dice
Studiare e controllare l’ambiente e’ come controllare e studiare il nostro corpo la sua storia e i suoi cambiamenti la loro comune salute e’ reciprocita’