Storia, erudizione municipale e stemmi di famiglia; amministrazioni pubbliche e agenzie per la valutazione della ricerca. Leggere un libro prestato da un amico.
Ieri, 23 agosto 2024, all’una un amico in visita mi presta gli Atti del primo Festival dell’araldica di Feltre. Stemmi, sigilli monete simboli. Festival che si è tenuto nell’autunno scorso. Finito di stampare? Luglio 2024.
– Appena uscito, mi informa l’amico – una primizia.
Una scorsa all’indice ed eccomi d’un balzo al saggio del professor Franco Cardini.
“La luna è simbolo lunare per eccellenza: è tautologico il dirlo”.
Come no? Tanto il punto mi vinse che feci come Paolo e Francesca con un libro che non mi ricordo. Basta leggere avante. Basta per oggi, si capisce[1]. Fa un caldo da schiaffi. Adesso come adesso, vedano, mi farò un chinotto.
*
24 agosto mattina, in una stanza del piano di sopra sul seggiolone d’ordinanza, con un caldo anche peggio di quello di ieri, smutandato sì, ma senza chinotti (finiti ahimé), eccomi, rugosa e brunazza la faccia, a ruminare gli introibo delle due curatrici. Vamos con quello di Viviana Fusaro, sindaco.
“Feltre è la sua storia.”
Lo scopo della silloge? Lo illumina l’explicit:
“capire meglio Feltre e (è) la sua storia”.
Da sapere, scrive accorata la socia in curatela[2], vale a dire la professoressa Fabiana Savorgnan Cergneu di Brazzà, italianista a tempo indeterminato nell’università di Udine, che viviamo tempi di materialismo. Il nano-belva che da millenni spadroneggia nell’interior-vegetativo di noi (diagnosi mia), quel malvagio, ci fa camminare a testa china con gli occhi al cellulare piuttosto che “mirando ciò che [ci] attornia”. Meno male, dico io da spiritoso insulso, manca mai che spari.
Trionfo del badalucco? Speranze no? Il sol dell’avvenire tramontato per sempre?
Tranquilli. Non mancherà l’alba novella. Sarà un’alba radiosa, di sintesi, con la “risoluzione definitiva del dualismo del positivo e del negativo, del bene e del male, della luce e delle tenebre, di Orzmud e di Arimane…” tipo Hegel per intendersi, o, in subordine, qua da noi, di Francesco Sanseverino, quel valoroso giovine di Napoli centro[3].
Col portatile bensì (non vorrai mica lasciarlo a casa?), ma restituendo alla Kultur tutto quel che le spetta. Avrete certo lo “sguardo chino sul cellulare all’istante (giusto un’occhiata veh! vi curo), ma con la vista spaziosa del tempo [sarete ndr] alla caccia (e dagli con la mira) di scudi di pietra, di intagli lignei, di lacerti di affreschi”. E perché mai anche non di qualche affresco tutto intero e in buono stato? Cosa dite? Altra spiritosaggine. Erubesco. Scusino.
*
L’indice attesta che, al netto delle cerimonie, i contributi sono dieci. Araldici tutti? Anche quello (pp. 33-45) del professor Marcellino Vetere, psicologo, “prof. a c. [professore a contratto ndr] presso Università Cattolica Milano”? Innegabile che il sunto (italice abstract) principii come segue:
“Analisi della famiglia e del ruolo della coppia al suo interno in prospettiva storica e alla luce dei rilevanti cambiamenti sociali degli ultimi anni”.
Come c’entra la coppia sderenata d’oggidì con campi, arme, brisure? Calma. Se c’è, un motivo ci sarà. Non si sa la potenza delle secrete vie, dei modi misteriosi? E poi, convenite, è sempre buona norma lasciare ai dotti qualche soggetto di ricerca.
*
Va bene menzionare i curatori ma avrà pure un autore responsabile questa raccolta! Dicci orsù. Riscusino la menda. In due salti vi corro a servir (ammicco spiritoso). Ecco. Associazione Nobiliare Regionale Veneta (maiuscole loro). Risulta di certo in capo. Ma è autore per modo di dire. Un patrono illuminato, piuttosto.
La casa editrice? Non delle più note ma, a ogni modo, specializzata nel ramo, con sede a Venezia acqua, quella ponti campi calli fondamenta. Ragione sociale? Musa Talìa (anche qui iniziali maiuscole). Confesso che di questa musa qua non ne sapevo, da quell’inveterato ignorante in muse che sono, quantunque a parole gran picchiapetto di Euterpe e anche un po’ di Clio. Talìa, imparo da Wikipedia, è quella della commedia e della poesia leggera. Ottimo. Regala buon umore.
*
Torniamo al volume. Tra benedicite, saggi e indice sono 201 pagine.
Saverio Simi de Burgis con Il patriziato lucchese dei Simi de Burgis ne occupa il 18,4% (pp. 137-174). Quante Gustavo Mola di Nomaglio col suo L’araldica: una finestra aperta sulla storia (pp. 77-113). Una poliedrica, ariosa specola, quest’ultima, sulla “araldica in quanto disciplina storica”, succulenta per soprammercato di umori antigiacobini, rannobilita da un intrepido crucifige per la violenza “isterica ed effimera” scatenata dalla rivoluzione francese (pp. 96-98).
Da Mola di Nomaglio si impara che l’“araldica quale disciplina storica” è certificata für ewig da tre saggi seminali, quindici pagine sane (vedi la nota 10 a p. 89). Noti da tempo (1951, 1952 e 1958). Di un quarto, edito a Bologna nel 1963, altrettanto lucifero se non di più, non viene purtroppo offerto il paginato. Suppongo sia altrettanto breve. Ed è bene. L’evidenza meno ciancia più splende. Anche perché ben di rado avviene che delle parole affermative e sicure di una persona autorevole non tingano del loro colore la mente di chi le legga. Numerose e congrue le esemplificazioni relative alle “testimonianze blasoniche lasciate dalle dinastie che sovraneggiarono su entità territoriali più o meno vaste” (p. 90).
“Un grande e universale linguaggio, trasversale ai tempi e ai luoghi” quello dell’araldica, aggiunge Savorgnan Cergneu di Brazzà. Non fosse così, l’ ANVUR (Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca ) avrebbe mai incluso il “Notiziario dell’Associazione Nobiliare Regionale Veneta” (nato nel 2009) nell’eletta schiera delle riviste “scientifiche” (p. 9)? Ciò a far capo dal 2017[4].
Sagacissimo infine il memento di Mola (p. 101 e nota 27) circa “la grande influenza sull’economia” dell’araldica (e dunque sui PIL d’antan). Ciò grazie alla produzione artigianale “capillarmente diffusa e […] sempre più esigente e sofisticata” di manufatti araldici. A proposito di denari. Non sono cose di cui m’intenda, ma immagino che tra arriva e parti, discorsi in renga e relativa stampa in volume, di euri ne siano stati fusi, per così dire, una cifra.[5]
Torniamo a Simi de Burgis. Il fil rouge? La sua famiglia, la sua propria di lui, i.e. mamma-babbo-zie-nonni eccetera (l’abstract parla a giusto titolo di ego-storia). Per extra bonus, sapienti pennellate sulla stagione lucchese della casata[6] più due poesie del babbo, Domenico Simi de Burgis, una sull’amore, l’altra su Cassano Murge, tratte entrambe dalla “antologia di sillogi”[7] Poesie (1941-1996) edita nel 1996 da Lacaita, Manduria-Bari-Roma (p. 172, nota 41).
*
Officiati i corposi saggi di Mola di Nomaglio e di Simi De Burgis, mi preme ora di raccomandarvi altri due contributi, più agili ma non meno intriganti (nel senso più pieno del termine). Il primo, Un esempio contemporaneo di araldica dinamica, tratta degli stemmi sceltisi dal beato Albino Luciani una volta eletto papa. L’autore Paolo Fabris. Di lui non so dirvi se non quel che leggo a p. 47, ossia che è un ricercatore indipendente. Araldica “dinamica”? Cosa sia? Lasciamo ce lo spieghi Fabris, con un dettato ricco di ambi, triadi e quaterne:
“…nascevano gli scudi che venivano personalizzati dal proprio titolare, anche con aggiustamenti successivi, nel perseguire l’esigenza durante la propria vita, nell’evolvere del proprio cursus honorum (ambo), di modificare, integrare, arricchire (triade) il proprio stemma, con segni che richiamassero il nuovo grado, il più recente possedimento, l’ultima impresa, la definitiva alleanza, (quaterna)” (p. 48).
Insomma dinamica vuol dire che il titolare di uno stemma, se crede, può cambiarlo come gli pare e piace. Fabris passa poi a una questione di sicuro interesse per noi compatrioti in carica del beato Albino. Va saputo infatti che i
“discendenti di famiglia che abbia dato alla chiesa un vicario di Cristo possono ‘essere ricevuti come Cavalieri di ordine e devozione’ dell’Ordine di Malta purché discendenti per linea retta mascolina da un fratello consanguineo o nel più largo dei casi dall’avo del sommo pontefice”.
Questo in teoria. Amara la pratica, al solito. Amarissima anzi per noialtri bellunesi (ma, per una volta, non per colpa del solito rapinoso clan trento-bolzano). Considerino, prego.
“Quando nel 2000 l’Associazione Nobiliare Regionale Veneta del Corpo della Nobiltà Italiana (grassetto mio) si apprestava a redigere e pubblicare il proprio Elenco ufficiale regionale ci si pose la questione di come gestire al meglio la posizione dei discendenti del fratello di papa Giovanni Paolo I […] se inserirli come ‘nobili romani’. Posto il quesito alla Segnatura apostolica venne risposto sinteticamente, in modo perlomeno opinabile, un non liquet per maturata desuetudine”.
Imparo che in gergo forense non liquet vuol dire non è chiaro. Ma ditemi, in verità, non vi par chiarissimo lo sfregio?
*
Il secondo è quello di monsignor Enrico Dal Covolo, “vescovo tit. di Eraclea, assessore nel Pontificio comitato di scienze storiche” (p. 175). A lui, nel saggio intitolato Nomen omen. Perché gli ecclesiastici usano gli stemmi (pp. 175-180), il compito di illustrare origini, significato e attuali funzioni dell’araldica ecclesiastica. Un ragguaglio che, stando al sottotitolo Ovvero guardare oltre il Tomatico, monsignor Dal Covolo ha buoni motivi per considerare indispensabile per noialtri di qua, bellunesi deretani, estremi, da Feltre e paesi limitrofi.
Ma attuffiamoci nella lettura. Origini, significato e funzioni dell’araldica ecclesiastica? Dubbio il chiarore della lampada. Venti righe. Le prime di p. 176. Tutto il resto (pp. 176-180) sono affondi raggianti su “Il mio stemma di vescovo, anche perché in esso è incluso quello della mia famiglia, la nobile famiglia feltrina dei Dal Covolo” (p. 175). Segue l’indirizzo di Feltre: “Largo Gastaldi 7”. L’indirizzo? Per via? Pro postino? No certo. Chi spedisce ormai lettere?
“Forse qualcuno di voi, magari senza avvedersene, molte volte ha calpestato nel marciapiede la lince rampante, quello stemma che trattiene gelosamente tanti gloriosi ricordi…” (p. 180).
L’avete fatto? Molte volte? Magari tutte le mattine andando da Curto per il giornale? Tranquilli. I vescovi perdonano specialmente l’imperdonabile. Non si sa che il perdono è un convito di grazia? Perfino l’Innominato l’ha sfangata. Certo, per lui Manzoni ha precettato un cardinale. Ma sono gli eccessi di zelo dei convertiti. Un vescovo avanzava.
*
Niente che valga la pena? Non pensatelo nemmeno per scherzo. Dal saggio di Agostino Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara. Intorno alla nascita dell’araldica pontificia (pp. 62-76) ho imparato. Non cose per me urgenti, ma imparare ho imparato. Lo stesso valga per Nel nome dell’aquila. Monete e stemmi nell’epoca svevo-ghibellina, del professor Helmut Rizzolli. Così da Intorno a due antichi sigilli di Feltre (1385-1396) di Federico Pigozzo. Sfragistica dura e pura.
*
A margine. Quelli che abbiamo in mano sono tutti scritti premeditati da cima a fondo o non magari, qualcuno, una trascrizione da registratore, corredata poi con note di soda dottrina? Semmai non certo quello del professor Cardini. Probabilmente sì per Araldica feltrina. Storia di stemmi e musei a cielo aperto, di Laura Pontin, funzionaria dell’Ufficio cultura del Comune di Feltre e ben nota specialista della materia. Almeno stando ai seguenti incisi:
a) “proseguirei a trattare per ore” (p. 135);
b) “come spero di aver fatto io con quanto fino a qui detto” (p. 136).
Niente di male. Mi felicito, anzi. L’oralità è affabile. Il proporla per iscritto? Sapienza di pochi. Il contributo poi un servizio. A noi ora d’alzare gli occhi, imparare a saper vedere, poiché “In qualunque punto della cittadella è possibile scorgere stemmi e segni araldici […] spesso posti in alto […] La nostra poca attenzione li rende quasi invisibili”.
*
Vogliono i numi che io tragga i miei dì residui in una bicocca semicampestre sita a pochi metri dal confine del comune di Pedavena. Quale che sia la cilindrata di quei reggitori, deo gratias hanno meno soldi da spendere di quelli del nostro capoluogo di mandamento. Inoltre, causa (ex) ruralità congenita più birreria che va a gonfie vele, nessuna grìngola di balli in maschera o di cavallerie rusticane.
Costassù a fare chi arriva primo non sono podisti in staffetta, né destrieri (mezzosangue) spronati da professionisti della monta, sardi per lo più, quand’anche residenti nel senese. Quei foresi miei adiacenti sono piuttosto appetitosi di gare a cronometro tra vetture pluripistonate con rollbar (e talvolta col morto) o di scalmane crepacuore tra stambecchi in tuta termica (microfibra) e skiroll. Tutte in salita. Per aspera di sicuro: il traguardo essendo posto a m 1011 slm. Ad astra? Mah? Verso, quanto meno.
[1] Youtube offre la possibilità di accedere a quella che il 15 ottobre del 2023 fu la lectio magistralis del professor Cardini. Ben più scintillante e mossa dello scritto offerto dagli Atti. Tra le varie degne di nota un’ampia, pensosa rifferta sulla definizione di storia proposta da Marco Tullio Cicerone (cfr. dal minuto 7’16” in poi). Vale la pena di cercar la lezione anche perché essa è preceduta da considerazioni a bilancio del festival da parte del sindaco.
[2] Ma occorre aggiungere che della cura degli atti si è fatta carico anche la mano invisibile: “Il ringraziamento va dunque a chi ha curato gli atti del Festival”, così Viviana Fusaro a p. 6.
[3] Benedetto Croce, Una pagina sconosciuta degli ultimi mesi della vita di Hegel, in Id., Indagini su Hegel, Adelphi, Milano 2024, p. 55.
[4] Cfr. www. anvur.it/attività/(…)elenchi di riviste scientifiche, 14.03.2024. Terza colonna. L’anno indicato dopo la S sta a significare che “solo le pubblicazioni successive a tale data sono ritenute scientifiche”. La rivista, nata nel 2009, risulta edita da “La Musa Talìa” di Venezia. Cadenza annuale.
[5] Nell’Allegato A al Decreto n. 233 del 13.07.2023 della Regione Veneto, allegato relativo alle domande ammesse al finanziamento, quella per il Festival dell’Araldica occupa con 35 punti l’undicesimo posto. Tre le voci offerte dal prospetto: a) spesa ammessa, euro 74.600; b) contributo richiesto, euro 15.000; c) contributo concedibile, euro 6.000. Di qui la mia supposizione.
[6] Ammirevole il tratto cursorio con cui l’autore accenna ad altre distinte pagine della storia di famiglia, ben degne di memoria; per un esaustivo ragguaglio cfr. S. Simi De Burgis, La famiglia Simi tra Lucca, Pescia, Bari, Venezia, Genova e la Spagna, “Notiziario dell’Associazione Regionale Veneta”, 12, 2020.
[7] “Escludendo le antologie, sono dieci le raccolte di poesie di mio padre”. Cfr., Id., Il patriziato… cit., pp. 143-144 e nota 10.
Lascia un commento