Mondo accademico, ricerca e guerre. Proteste studentesche, risposte dell’Università. Verbale dell’“assemblea aperta” di Ca’ Foscari, tenuta a Mestre il 26 giugno 2024, fatto da uno studente che era presente.
Verso l’assemblea
Ore 8,30 del 26 giugno 2024. In vista dell’assemblea prevista per le 9,30, nel campus Scientifico dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, situato in via Torino a Mestre, si radunano gli studenti che dal 13 maggio si sono mobilitati per occupare le sedi e le aule di Ca’ Foscari e Iuav a Venezia isola. Le loro richieste alla rettrice sono:
– totale trasparenza nei rapporti tra l’università, le istituzioni israeliane e le aziende;
– cessazione di ogni collaborazione accademica che possa essere legata all’apparato militare-industriale dello Stato israeliano;
– riconoscimento totale del fatto che ci sia un “genocidio” in corso in Palestina;
– riconoscimento del conflitto di interessi e conseguenti dimissioni della rettrice dai suoi incarichi con gruppi come Med-Or.
Med-Or è un’organizzazione di ricerca nata per iniziativa di Leonardo Spa (tredicesima nella classifica globale dei 100 maggiori produttori di armi secondo il SIPRI, il centro di studi indipendente Stockholm International Peace Research Institute), che dichiara l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”). In questo quadro si colloca la collaborazione di “Summer Schooling” tra Ca’ Foscari e l’Istituto di formazione superiore della Marina militare italiana.
Le componenti della mobilitazione: studenti e istituzione
Prima di oggi ci sono state varie situazioni di tensione tra movimento studentesco e istituzioni universitarie. L’apice è stato raggiunto il 10 giugno durante un evento organizzato dall’Osservatorio di Politica e Relazioni Internazionali dell’Università intitolato “Dove va Israele?” tenuto nella biblioteca di Ca’ Vendramin a Venezia. Nel corso dell’incontro negli spazi della biblioteca sono entrati alcuni agenti della Digos che hanno scattato fotografie e preso i dati identificativi di uno studente. Come confermano molti testimoni, questo intervento non aveva alcuna giustificazione, la discussione stava procedendo in modo normale e del tutto pacifico. I rappresentanti istituzionali hanno allontanato gli agenti fuori dalla biblioteca, ma questi sono rimasti comunque a presidiare all’esterno. Non si sa chi li ha chiamati. In un intervento avvenuto tempo dopo, la rettrice ha affermato che a chiamare gli agenti sono stati “alcuni cittadini”. Tra gli studenti alcuni sollevano dubbi sul ruolo della Rettrice, in quanto non ha fatto dichiarazioni immediate al riguardo e non ha condannato l’accaduto.
Per comprendere quanto accaduto negli ultimi mesi, va ricordato che a Venezia a mobilitarsi sono diversi gruppi studenteschi che non sempre agiscono seguendo le stesse metodologie. Quando a maggio 2024 sono iniziate le occupazioni delle sedi universitarie, queste si sono sviluppate in maniera parallela seguendo decisioni proprie dettate da assemblee interne, strutturandosi con fini e ideali analoghi, ma con metodi e organizzazioni diversi. Al di fuori del contesto cafoscarino è anche da citare l’occupazione sul modello di “assemblea permanente” alla sezione IUAV dei Tolentini, che collabora e ha contatti con il resto della mobilitazione, pur essendo gestita autonomamente con rivendicazioni proprie e separate, applicate al proprio contesto.
Le varie componenti della mobilitazione studentesca si trovano anche in parte sostenute dal Comitato Guerra e Pace, un gruppo formato da membri dell’istituzione cafoscarina, mosso dalla volontà di rendere il ruolo dell’università più incisivo nella ricerca di una soluzione pacifica ai conflitti, nato in seguito allo scoppio della guerra russo-ucraina. Vi hanno partecipato prima soli docenti, poi altre persone interne all’istituzione. È grazie a uno sforzo collettivo delle parti, raccontano alcuni studenti di fronte all’auditorium, che si è riusciti a fare in modo che la rettrice concedesse una “assemblea aperta”, indetta ufficialmente tramite e-mail, da tenersi il 26 giugno dalle 9,30 alle 12, nell’auditorium del campus scientifico di Mestre per “confrontarsi costruttivamente sui temi della cooperazione e delle collaborazioni scientifiche dell’Ateneo nel contesto delle crisi internazionali e umanitarie”. Si tratta della prima assemblea di questo genere da qualche anno. Le regole stabilite per parteciparvi sono queste:
– i posti per partecipare in auditorium sono limitati, va fatta una prenotazione nominativa obbligatoria entro massimo 5 giorni dall’evento;
– a chi non ottiene un posto nell’auditorium ne verrà assegnato uno in aule secondarie dove poter seguire tramite videochiamata proiettata su schermo;
– gli interventi liberi si svolgono dalle 10,20 alle 11,45, dopo gli interventi da parte dei Rappresentanti negli organi di Ateneo, della componente studentesca, del Personale Tecnico Amministrativo dei Collaboratori ed Esperti Linguistici e Bibliotecario e del Personale Docente e Ricercatore;
– l’intervento libero è accordato previa prenotazione entro il giorno prima e può durare al massimo 3 minuti.
Molti studenti hanno da subito lamentato vari aspetti della modalità di organizzazione dell’assemblea, giudicata fin da subito dalla componente studentesca un mero “contentino”.
In primis a far discutere sono la scelta del luogo e del giorno. Porre un evento di forte interesse studentesco in periodo successivo alla chiusura dell’anno accademico, e in una zona periferica sia geograficamente (il luogo scelto è una sede periferica rispetto sia alla sede centrale dell’Università che all’occupazione di San Sebastiano), sia politicamente (visto lo scarso interesse dimostrato dalla maggioranza degli studenti dell’area STEM nella mobilitazione), è stata percepita come una scelta strategica per limitare l’afflusso di persone al fine di smorzare la capacità di protesta studentesca.
Alla problematica del luogo se ne aggiunge anche una organizzativa, in quanto nella e-mail di annuncio dell’assemblea, ricevuta la sera del 18 giugno, viene riferito che per poter partecipare va compilata una iscrizione nominativa con un limite temporale massimo di 5 giorni dall’evento, dunque entro il 21 giugno. Molti non potranno nemmeno essere presenti e dovranno seguire tramite una trasmissione in video da altre aule, essendo l’evento non condiviso tramite nessun canale pubblico dell’istituzione.
L’assemblea
Ore 9,30, una volta finito di verificare le presenze, si dà inizio all’assemblea. Gli studenti si trovano, per la maggior parte, nelle aule dove si segue a distanza; peraltro, raccontano i presenti, sembra che ci siano molti posti vuoti nell’aula magna.
La rettrice apre l’assemblea
Dopo aver chiesto un minuto di silenzio in nome di tutti coloro che soffrono a causa dei conflitti in corso, la rettrice ringrazia tutti, presenti e no, per la mobilitazione spontanea a favore delle popolazioni in guerra, oltre che per le iniziative e gli appelli per la pace. Leggendo dal proprio cellulare riafferma il ruolo dell’ateneo come “garante del pluralismo che garantisce dialogo e confronto”, evidenziando l’apertura di Ca’ Foscari alla partecipazione nei percorsi di ricerca condivisa per ricercare soluzioni pacifiche alle questioni internazionali, riprendendo poi il recente discorso di Mattarella a Trieste (12 aprile 2024) per ribadire che “gli atenei sono al di sopra dei confini e dei conflitti”. Secondo lei, invece, la richiesta esplicitata nelle rivendicazioni studentesche di recidere lo scambio di collaborazioni e il collegamento con le università israeliane “non aiuta i diritti e la libertà, ma invece indebolisce il dibattito, la critica e il dissenso”. “La libertà” dice “è un privilegio che comporta una grande responsabilità nell’esercitarlo. Tutelare i diritti nel rispetto di tutti è un compito dei rettori, il benessere collettivo è incompatibile con tutte le discriminazioni, che vanno condannate”. Riguardo alla mobilitazione studentesca, “il dibattito a Ca’ Foscari è stato molto partecipato, a tratti anche molto acceso, con iniziative e proteste, il nostro ateneo è stato molto più aperto rispetto ad altri atenei anche vicini, e voglio ricordare che sui conflitti che ci hanno coinvolti si sono espressi sia il senato accademico che il Consiglio di amministrazione invocando il cessate il fuoco”.
In risposta alla richiesta di trasparenza sulle decisioni, la rettrice afferma che in Senato accademico è stata mostrata la mappatura totale dei rapporti con le università israeliane, non riscontrando nessuna collaborazione di tipo militare e invece mostrando i rapporti come “già sottili” (fanno notare gli studenti che la mappatura effettiva non è pubblica, motivo per cui si chiede la trasparenza totale negli atti). Ribadisce inoltre la posizione del Senato, turbato dalla guerra e desideroso di un dialogo e un cessate il fuoco, respingendo però in maniera assoluta la richiesta di boicottaggio accademico presentata dagli studenti, invocando la libera cooperazione da parte dell’università come entità super partes.
La rettrice termina il suo discorso accennando ai fatti del 10 giugno e all’invito alla totale trasparenza ricevuto da parte sia degli studenti, sia dal Comitato Guerra e Pace. La rettrice risponde ribadendo che trasparenza e libertà rimangono i valori fondanti del suo ruolo, ma che “se questi sono rappresentati delle forze dell’ordine non è per mia richiesta”. Assicura infine di aver già parlato con le autorità competenti, rifiutandosi però di dare ulteriori spiegazioni in quanto contenuti privati.
Il via agli interventi
Dalle 9,40 alle 10,20 si sono svolti gli interventi dei rappresentanti negli organi di ateneo della componente Studentesca, del Personale Tecnico Amministrativo, dei Collaboratori ed Esperti Linguistici e Bibliotecario e del Personale Docente e Ricercatore. A seguire, dalle 10:20 alle 11:30 si sono svolti gli interventi liberi su prenotazione. Gli studenti ritengono l’assenza di obbligo di risposta da parte della rettrice una forte limitazione all’efficacia dell’assemblea.
Modera l’assemblea il direttore del Dipartimento di scienze molecolari nano sistemiche. Dopo aver specificato che oggi non ci sarà nessuna deliberazione al termine dell’assemblea, in quanto non è un incontro del senato, richiama le regole generali e il metodo di intervento:
– ogni persona prenotata ha 3 minuti a disposizione, segnati da un timer proiettato sullo schermo a muro,
– fondamentale è il rispetto delle opinioni altrui.
Le rappresentanze istituzionali
Questo resoconto non riporta tutti gli interventi pronunciati, ma solo una selezione che rappresenta le principali posizioni che si sono manifestate nel corso dell’assemblea.
Il primo intervento libero è stato quello del rappresentante degli studenti nel Consiglio d’amministrazione dell’Università, che ringrazia l’ateneo per aver mantenuto il confronto democratico rispetto ad altri atenei che invece hanno soffocato le proteste ricorrendo alla polizia. Le richieste che avanza sono le stesse che gli studenti mobilitati cercano di far sentire da mesi: una presa di posizione nei confronti di Israele, un ampliamento del ruolo dell’università nella promozione della pace tramite proposte di Ethical Due Diligence (controlli sull’eticità dei rapporti con le aziende), controllo sul Dual Use (l’eventuale utilizzo di scoperte e ricerche civili per uso militare) e il boicottaggio accademico totale nei confronti dell’accademia israeliana, complice nel “genocidio”.
Le persone intervenute appartengono per lo più a tre categorie:
– la componente studentesca (studenti in occupazione a San Sebastiano e collettivi);
– i professori e personale tecnico appartenenti al Comitato Guerra e Pace (per la maggior parte intervengono professori allineati con alcune richieste degli studenti, ma per lo più mantenendo molta cautela verso la governance);
– altro personale sia docente che tecnico, orientato per lo più verso una “realpolitik” universitaria.
L’insieme di interventi che ha mostrato in maniera più significativa la differenza nello spettro delle opinioni è stato quello dei docenti di Studi sull’Africa Mediterranea (SAM). È il gruppo di docenti più preparato e toccato dall’argomento, tanto che al suo interno sono emersi due orientamenti:
– una posizione che giudica il boicottaggio come “strategicamente controproducente”;
– un’altra che invece condanna l’assenza di uno schieramento dell’università di fronte alle atrocità in corso, invocando il boicottaggio accademico e una posizione nettamente più vicina alle richieste della comunità studentesca mobilitata.
Il primo dei docenti del Dipartimento di SAM ha proposto un atteggiamento neutrale, ritenendo la collaborazione “essenziale anche se difficile” e proponendo un ruolo istituzionale super partes ai conflitti: “La soluzione proposta è l’interruzione totale. È una soluzione immediata, ma non è lungimirante. Piuttosto sarebbe da svolgere un controllo meticoloso di tutti i rapporti in contesto col mondo accademico, l’interruzione rischia di zittire totalmente la voce di chi si batte per un futuro migliore”. Tra i docenti che condividono questo atteggiamento è diffusa l’idea, espressa anche da docenti di altri dipartimenti, che “se domani Israele cambierà rotta sarà grazie alla critica interna, se colpiamo le università colpiamo anche le posizioni autonome, libere e critiche che potrebbero cambiare la situazione”.
Una docente di SAM del Comitato Guerra e Pace dichiara invece che “l’idea che le università siano luoghi di critica e dissidenza è in realtà propaganda, sono le università le prime a sviluppare il piano coloniale e metodi per bloccare il dissenso, nonostante queste fingano di essere super partes le collaborazioni con l’esercito sono molto presenti”, e cita entità accademiche come l’Istituto Weizmann e la Ben Gurion University, istituzioni strettamente collegate all’esercito israeliano. La docente termina il suo discorso affermando che la collaborazione con un’entità di questo tipo legittima automaticamente tutto ciò che rappresenta quindi la collaborazione con istituti che lavorano per un regime accusato di apartheid e scolasticidio è un controsenso totale all’internazionalizzazione responsabile. Conclude quindi chiedendo la sospensione totale dei rapporti fino alla fine del conflitto. Gli studenti presenti nelle aule reagiscono con scroscianti applausi.
Un rappresentante del personale tecnico-amministrativo, riferendosi direttamente alla questione della collaborazione della rettrice con Med-Or, dichiara: “L’esperienza personale mi dice che se sono lavoratore e sindacalista sono in conflitto di interessi, com’è possibile che invece un rettore possa far parte di un comitato come Med-Or che si autodefinisce come sviluppato da Leonardo SPA, e continuare come se non esistesse nessun conflitto dichiarato?”.
Un’altra docente ha richiesto la rescissione totale con ogni istituzione (non con singoli individui) che presentano “studi nel progetto coloniale israeliano” e ha messo invece in evidenza come la posizione neutrale dei colleghi stia “mettendo la libertà accademica come scudo al di sopra dei diritti umani fondamentali che stanno venendo infranti. Le università sono parte del problema in quanto sviluppano progetti di sostituzione ed eliminazione etnica lavorando a sistemi bellici e di controllo di massa. Una collaborazione con lo stato accusato di più crimini di guerra della storia recente non è compatibile con il codice etico di nessuna università.”
Uno dei docenti è tornato sui fatti del 10 giugno e su “locandine fasulle” che il movimento studentesco avrebbe prodotto e fatto circolare, per manipolare il senso dell’incontro “dedicato a Israele”. Ribadisce che “le modalità di protesta degli studenti sono spesso inaccettabili e vanno da una locandina fasulla alla mancanza di rispetto contro la rettrice e la marina militare”; rivolgendosi agli studenti mobilitati dice: “non so se gli studenti conoscano le scritte di questa locandina fasulla ma vorrei ne prendessero le distanze, inoltre ritengo gravissima l’occupazione di San Sebastiano che, non so se sia illegale, ma pregiudica sicuramente in maniera grave le attività dei docenti”.
Tra il personale universitario che ha preso parola c’è stato anche un ex rettore di Ca’ Foscari, entrato nel dibattito prendendo una posizione diversa rispetto agli orientamenti finora elencati: si è dichiarato favorevole alla collaborazione con le aziende e all’Ethical Due Diligence seppur critico del Dual Use. L’ex rettore, pur evidenziandone le nobili intenzioni, si dichiara anti-boicottaggio. Dichiarandosi come non sionista, evidenzia il fatto che gli israeliani vivono un costante senso di assedio e minaccia esterna, rendendo quindi una “ghettizzazione” inefficace e controproducente. In risposta invece alle critiche nei confronti di rapporti considerati controversi con alcune aziende l’ex rettore risponde giustificandone la natura. Riguardo Eni, risponde alla contestazione diretta di uno studente affermando che “se ha il gas a casa è grazie a loro”, mentre riguardo i rapporti con Finmeccanica (ora Leonardo Spa), evidenzia che “su un fatturato di 15 miliardi di Leonardo, due miliardi sono spesi in ambito di ricerca con 90 università e 11mila professori in campi come intelligenza artificiale, cybersecurity, materiali, modellazione e simulazioni, tecnologie quantistiche, la Leonardo fa politica internazionale”. La sua posizione è quindi di mantenimento dei rapporti, riconoscendo le buone intenzioni dietro a una revisione del dual use, ma ritenendolo come in ogni modo controproducente.
Un altro intervento di un rappresentante del personale docente nel Senato accademico ha sottolineato che il dual use rappresenta un tema controverso per l’istituzione, in quanto pur condannando tutti i conflitti, e anzi riflettendo sui concetti etici scaturiti dal dibattito, il tema risulta problematico in quanto “qualsiasi ricerca scientifica è un dual use: l’internet nasce per uso militare, la tecnologia radar è la stessa dei microonde e a oggi pure l’AI è serve alla guida dei droni, tutta la scienza è militare, non è la ricerca in sé ma è l’applicazione che importa”. Su queste basi, la collaborazione con Leonardo spa viene quindi mostrata come priva di criticità. Rimane però il sostegno all’Ethical Due Diligence e la condanna a tutti i conflitti da ambo le parti.
Lo spazio libero: gli interventi dei gruppi studenteschi
Gli studenti che hanno partecipato al dibattito aperto sono quelli reduci dalle due occupazioni di cui abbiamo detto sopra. Si sono presentati in modo sostanzialmente compatto. Hanno contrastato i tempi ridotti di intervento e la limitazione delle prenotazioni tramite l’utilizzo di “discorsi collettivi” che permettevano a chi interveniva di continuare il discorso dove si interrompeva il precedente, creando un effetto di discorso prolungato che ha trovato forte supporto vocale.
Il primo intervento è stato svolto da parte di studenti appartenenti al gruppo che ha occupato il rettorato. È salita sul palco una studentessa insieme a una decina di compagne e compagni che reggevano bandiere palestinesi. Ha saltato le formalità che fino a quel momento hanno caratterizzato gli interventi del Senato accademico per rispondere con un messaggio di forte critica alla rettrice e all’istituzione: “vogliamo riportare le numerose falle nei discorsi fatti dall’università, a partire dall’opportunità dell’assemblea da persone che in questi anni di assemblee ne hanno fatte tante: in primis la limitazione degli interventi, dei posti e delle prenotazioni possibili, che rendono l’assemblea solo controproducente. Le prossime assemblee devono essere costruite in maniera democratica, non dall’alto come gentil concessione da parte della governance”. La platea degli studenti ha approvato applaudendo o scuotendo le mani in aria (è il gesto con cui si comunica accordo nelle assemblee studentesche autogestite, usato per non interrompere facendo rumore). La studentessa ha proseguito: “Il filo dell’ipocrisia riempie tutta l’istituzione, mentre si parla di pace o connessioni aldilà dei confini, continuano invece i rapporti con le università belliche e questo si specchia anche qui. Ricordiamo alla rettrice che i rapporti con Israele non sono solo per uso militare. I palestinesi sono rinchiusi a Gaza e a Rafah senza cibo e acqua e, come è già stato ricordato varie volte, è stato tutto distrutto, le università bruciate e gli studenti uccisi. Anni fa si parlava di scolasticidio, è ora quindi di interrogarci sui rapporti che intratteniamo. Qui l’ipocrisia permea i discorsi, chiediamo la mappatura totale dei rapporti sia resa pubblica e trasparente e che le decisioni con enti israeliane prese con consultazione della componente studentesca”.
L’intervento degli studenti del rettorato ha replicato in modo radicale alle affermazioni dei professori, portando un’analisi dei rapporti con le aziende totalmente diversa da quella presentata dalla linea ufficiale dell’istituzione. Uno studente ha elencato le aziende private con cui l’università ha rapporti e le problematiche che questi comportano, in particolare quelli con ENI e Crédit Agricole: “Voglio mettere l’attenzione sui privati con cui la Uni ha rapporti: ENI è la 30° tra le 700 aziende che emettono più emissioni al mondo, che utilizza modelli neocoloniali creando meccanismi di dipendenza e degradazione nel sud globale. Eni è entrata in metodo sistemico in università come paladino della transizione energetica e della sostenibilità, ma la sua realtà è diversa, il suo impatto ambientale è devastante e i suoi meccanismi di accumulazione estrattivista le hanno permesso di ottenere illegalmente in appalto i giacimenti trovati di fronte a Gaza”. La critica si estende a Crédit Agricole, banca tra le principali finanziatrici di ENI e con cui l’università ha convenzioni che rendono, per esempio, obbligatoria l’apertura di un conto per ottenere i soldi della borsa di studio. “Se si parla di libertà e sostenibilità” dice “bisogna prima accertarsi delle proprie responsabilità”.
Riguardo alla questione del 10 giugno gli studenti che hanno occupato il rettorato precisano che “confronto e pluralità non vogliono dire dare spazio a persone come il professore che il 10 giugno ha negato i numeri di persone morte a partire dal 7 ottobre e addirittura sostengono una reazione ancora più dura”.
Gli studenti dell’occupazione di San Sebastiano hanno sviluppato un discorso unico a più voci. Prima di ogni intervento il o la “portavoce” dichiarava “questo intervento è frutto dell’elaborazione collettiva delle ultime settimane”, per creare continuità anche tra interventi non consecutivi nella scaletta.
Hanno cominciato con una critica alla rettrice e al modo in cui è stata organizzata l’assemblea che la componente studentesca richiedeva da settimane, elencando “la tempistica estremamente lenta per organizzare l’assemblea, la scelta di un luogo dove non c’è supporto favorevole alla Palestina per limitare le voci degli studenti e questo lo dimostra anche la mail in cui è previsto il ricollocamento di tanti studenti prenotati che si trovano a dover seguire da distante e le tempistiche di riduzione proibitive oltre che la totale assenza di obbligo di risposta da parte della governance, che impedisce ogni tipo di discussione costruttiva”. Evidenziando la forte disparità nel peso delle parole delle componenti dell’ateneo, che in un contesto come questo “dovrebbe interrogarsi sull’importanza dell’ascolto”, la componente studentesca solleva inoltre la questione del 10 giugno.
La presa di posizione richiesta da parte degli studenti riguarda la presenza della DIGOS, in particolare per “l’assenza di solerzia nel condannare l’entrata della polizia di stato in un edificio dove lei, rettrice, è legalmente responsabile”. Inoltre, nel merito di un dibattito che si è svolto senza interruzioni/contestazioni, gli studenti ritengono che in un momento come questo sia “di cattivo gusto invitare uno studioso apertamente sionista che nega dati dell’ONU come il numero di morti”. E termina con “questo non è acume in un contesto che predica la critica e l’analisi”.
Parte importante del discorso e delle rivendicazioni studentesche è il rapporto che la rettrice intrattiene con il gruppo Med-Or, nato e finanziato da Leonardo Spa. Gli studenti, infatti, contestano “l’ingerenza di un’industria bellica nel mondo formativo cafoscarino”, specie in un contesto di crescenti tensioni internazionali dove “l’inserimento di un’azienda bellica rappresenta un atteggiamento totalmente vittimistico del mondo occidentale che vuole mantenere saldi i profitti delle aziende a scapito del mondo”. Evidenziando i rapporti con le aziende che collaborano con Ca’ Foscari, anche gli studenti di San Sebastiano ribadiscono la richiesta di onestà intellettuale: “se si parla di libertà accademica si ignorano le ricadute sociali, coerentemente con l’interesse bellico in tempi di riarmo globale, la vendita di armamenti è chiaramente in contrasto con l’imparzialità sia morale che politica di chi ne fa parte” per poi terminare con un invito e provocazione diretta alla rettrice: “quando chi ne partecipa sono i rettori allora entra automaticamente un sistema di conflitto di interessi da risolvere con le dimissioni da Med-Or o dal proprio ruolo di rettrice dell’Università”.
Infine gli studenti dell’occupazione di San Sebastiano elencano le richieste per garantire una smilitarizzazione dell’università e la sua fuoriuscita dalla “corsa agli armamenti in atto”: la chiusura di ogni tipo di contatto con l’apparato militare (i rapporti con la Marina Militare); l’inizio di procedure di demilitarizzazione; la trasparenza in tutti gli accordi, i contratti e le convenzioni stipulati dall’Università; la creazione di un archivio che mantenga aggiornati i rapporti in tempo reale, vietando la stipula di accordi non regolati o concordati con gli studenti. Il discorso collettivo si conclude con la richiesta di una presa di posizione non ambigua e decisa, come fu per la Russia nel 2022, e chiamando in causa direttamente la rettrice per i suoi rapporti con Med-Or e il relativo conflitto di interessi.
La rettrice chiude l’assemblea
Ore 11,30, terminati gli interventi la rettrice inizia il suo commento di chiusura. Ringraziando tutti i presenti per i loro contributi, afferma che non le è possibile fare un bilancio, date le divergenze di opinioni, però ritiene giusto che il dialogo continui. Afferma di sentire tante sicurezze nei giovani, Te afferma che questo è perché i temi sono complessi e non si possono risolvere e sviscerare in interventi così brevi anche per le competenze di ognuno. Prima di congedare tutti, però, vuole dedicare dei commenti su alcune delle affermazioni degli studenti.
Riguardo al caso del 10 giugno, afferma che “per quanto riguarda la DIGOS io sono intervenuta con le autorità competenti, tanto che ci sono procedimenti in corso, non ritengo però che io debba comunicare quali sono gli interventi delle mie interlocuzioni con le forze dell’ordine per un ambito di riservatezza e non capisco perché si affermi che io non sia intervenuta”. Per quanto riguarda il ritardo nell’organizzazione dell’assemblea la rettrice giustifica la propria scelta in quanto la presenza di altri impegni, sia istituzionali che personali, non le hanno concesso il tempo per poter organizzare nulla in tempi brevi. Inoltre, ci tiene a precisare che “pochi atenei hanno fatto assemblee e spesso anche senza rettori. La mia presenza è importante e la data scelta è stata questa, non vedo rispetto a cosa sia tardi, e voglio rendere chiaro che non c’è nessuna dietrologia”.
Sui rapporti tra Ca’ Foscari e Israele, messi da molti studenti in confronto ai rapporti interrotti con la Russia a seguito della guerra, la rettrice ci tiene a precisare che il congelamento dei rapporti, avvenuto naturalmente per motivi fuori dal suo controllo, hanno reso gli scambi unilaterali, e non hanno limitato l’arrivo di studenti dalla Russia. Ca’ Foscari rimane quindi in quest’ottica una comunità internazionale che alimenta il dialogo pacifico e anche in questa situazione non c’è stato un comportamento diverso, anche ora la mobilità studentesca è bloccata e gli studenti non possono andare nei territori israelo-palestinesi, mentre se potessero venire, afferma, lei sarebbe la prima ad accoglierli.
Commentando l’argomento sicuramente più caldo dell’assemblea, ovvero il suo rapporto con Med-Or: “Come nei rapporti con Leonardo specificati dall’ex rettore, Med-Or si occupa di cooperazione allo sviluppo, per cui tra l’altro non è ancora stato finanziato nulla, in quanto ho rifiutato il finanziamento”. Riguardo alle proprie dimissioni afferma che in tutto il gruppo di Med-Or è avvenuta una sola dimissione, ed è stata nel comitato scientifico, per cui tutti gli altri membri sono ancora presenti e non vede le condizioni di dimettersi. Negando totalmente il conflitto di interessi, la rettrice afferma che la sua presenza è puramente di vigilanza per “comprendere cosa fanno i colleghi”. “Infine”, aggiunge, “Med-Or sta per stipulare una convenzione con UNIMED per creare sinergie negli interventi in Medio Oriente, Africa e quello che fa è finanziare borse di studio per studenti da quelle aree.” E termina con una precisazione diretta agli studenti: “Leonardo, che si occupa prevalentemente di cybersecurity e di previsioni atmosferiche peraltro, quand’anche finanziasse, come dite voi, le armi e la guerra, se distogliesse dei fondi su borse di studio non sarebbe un bene? Chiediamolo agli studenti che stanno in Africa”.
La replica studentesca fuori dall’aula
Ore 12,00, tra gli applausi dei docenti che si felicitano per la capacità di dialogo tra le parti, viene dichiarata terminata l’assemblea. I partecipanti si riversano al di fuori dell’aula magna, gli studenti si aggregano di fronte allo spiazzo di fronte all’entrata e iniziano a comunicare la loro insoddisfazione tramite l’innalzamento di bandiere palestinesi e discorsi al megafono. L’assemblea, dicono alcuni studenti della componente mobilitata, si è rivelata una “pagliacciata per accontentarci”.
La reazione generale è quindi di forte insoddisfazione rispetto alle rivendicazioni proposte, liquidate come frutto di ragionamenti semplificati a causa dell’inesperienza e della giovane età. Anche se la componente docente si è congratulata per la qualità degli interventi, la governance invece sembra aver dimostrato una forte capacità di resistenza, creando un clima di forte distacco tra volontà studentesca, più sensibile ai temi sociali e ai conflitti in corso in chiave solidale, e la governance, di natura più tecnocratica e improntata a un posizionamento totalmente neutrale rispetto a una richiesta di presa di posizione e di azione di fronte alle crisi umanitarie in corso.
Parte il coro “Occupiamola / tutta l’università / e avanti insieme / uniti a occupare / tutta la settimana / la passo qui con te / e non c’è Digos / non c’è rassegnazione / ma solo tanta rabbia / che cresce dentro me / più forte”. Sventolano le bandiere. Al megafono si dichiara che “l’assemblea universitaria, momento di incontro e dialogo tra istituzione e studenti, si è rivelata un fallimento, un insieme di promesse vaghe e di temporeggiamenti pur di non toccare i rapporti con le aziende belliche, anche a costo di non prendere atto della loro stessa ipocrisia paternalistica”.
Nota. Le immagini sono tratte dal profilo instagram del collettivo LiSC (Liberi Saperi Critici); un dettaglio è stato ripreso come immagine di apertura.
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