N., P. e G. raccontano i presidi a sostegno dei detenuti che hanno organizzato sotto le mura di Santa Maria Maggiore, il carcere circondariale maschile di Venezia. Intervista, a cura di Piero Brunello, con un’appendice di lettere dal carcere lette in pubblico a un sit-in organizzato dall’Unione Camere Penali.
Ho appuntamento con N. mercoledì 17 luglio 2024, nel tardo pomeriggio, in un’osteria vicino a campo San Giacomo a Venezia per un’intervista sull’esperienza del presidio che da qualche mese, con un gruppo di amici, fa regolarmente sotto il carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia. N. ha superato la trentina ed è accompagnato da due amici ventenni, G. una ragazza, P. un ragazzo. Decidiamo di mettere delle iniziali inventate e cominciamo una chiacchierata, mentre il locale si riempie di giovani per l’ora dello spritz. È uno dei giorni più caldi dell’estate, il pensiero di che cosa significa quel caldo in celle sovraffollate accompagna tacitamente i nostri discorsi.
Avevamo già fissato un appuntamento per lunedì 15, ma quella mattina N. mi aveva avvisato che dovevamo rimandare: c’era stato un suicidio in carcere e quindi avrebbero organizzato un presidio all’ora in cui dovevamo trovarci. (p.b.)
Piero. Come sono iniziati i presidi sotto il carcere di Santa Maria Maggiore?
N. Il mio primo interesse, per me e per altre persone, è stato nel 2009: c’era stato un suicidio di un detenuto messo nella cella liscia, detta così perché senza suppellettili e usata a scopo punitivo, dove era stato messo con una coperta con la quale si è impiccato. Di questa storia era venuto a conoscenza un compagno che all’epoca era stato due-tre giorni in carcere, e da allora abbiamo iniziato con i primi presidi sotto al carcere. È una pratica che almeno in ambito anarchico e libertario si faceva spesso. Spesso tutto iniziava quando un compagno o una compagna finiva in carcere, ci si trovava sotto per solidarietà e poi la cosa si allargava… Nel 2015, quando avevamo occupato l’Ospizio a Santa Marta, in concomitanza con la sagra del quartiere, a fine luglio, c’era stata una rivolta nel carcere, così siamo andati sotto a vedere che cosa stava succedendo. E da lì è cominciata una corrispondenza abbastanza fitta con alcuni detenuti. Noi andavamo sotto il carcere, ci facevamo sentire, entravamo in contatto… Nella primavera di quest’anno siamo ripartiti con i presidi: il primo l’abbiamo fatto il 13 aprile scorso.
Poco tempo prima alcuni detenuti di Santa Maria Maggiore avevano mandato una lettera, firmata, al Gazzettino [pubblicata il 1 marzo 2024], per denunciare le pesanti condizioni di vita all’interno di Santa Maria Maggiore. Da quel primo presidio abbiamo cominciato a sentirci con i detenuti, che ci sembrano anche organizzati, per quanto è possibile organizzarsi nella loro situazione.
Piero. Come si svolge un presidio? E come avvengono i contatti e la corrispondenza di cui parli?
N. Portiamo una cassa e un microfono, così riusciamo a parlare con i detenuti dentro. A Venezia, che ha un carcere dentro il tessuto urbano cittadino, si riesce a parlare benissimo anche senza microfono, ma con un microfono si sente meglio, qualcuno viene alle finestre e riusciamo anche ad avere un contatto visivo. Una situazione simile può accadere anche a Belluno, o a Poggioreale a Napoli, a San Vittore a Milano… In altre città, dove hai un recinto o due tre cerchia di mura che ti separano, è più difficile: hai bisogno di un impianto voci più potente, magari ti mettono in una posizione in cui non riesci a comunicare, qui basta una cassa bluetooth… Anni fa riuscivano a lanciarci anche dei biglietti dalle finestre. Diamo un indirizzo a cui scrivere.
Dentro non hanno accesso a internet né ovviamente a un proprio telefono, quindi scrivono lettere a mano e la spediscono per posta ordinaria, con francobollo, e noi rispondiamo. Un detenuto uscito da poco siamo riusciti a incontrarlo all’esterno del carcere, e così abbiamo potuto parlarci e farci raccontare più tranquillamente delle condizioni di detenzione. Il sistema che usiamo è scomodo perché le lettere impiegano tempi lunghi, mi sembrano anche più lunghi di qualche anno fa, tra una comunicazione e la risposta a volte passano dieci giorni, due settimane.
Piero. In che modo rispondete?
N. Di solito arriviamo là: “ciao ragazzi, come va?”, “va di merda, stiamo male… ci sono problemi”, e si inizia a parlare. Il problema principale che tutti lamentano è il sovraffollamento, che soprattutto d’estate con il caldo porta a screzi o peggio tra detenuti o con le guardie… celle malsane, scarsa pulizia. Un altro problema che lamentano è l’abuso di psicofarmaci. Non è un carcere per pene lunghe (come sono per esempio quelli di Verona o di Padova), qui i detenuti sono dentro per rapine, spaccio, reati di questo genere; tantissimi di questi sono tossicodipendenti, e per questo spacciano o fanno rapine; in carcere è molto più difficile trovare droga e quindi si buttano sugli psicofarmaci; poi c’è chi si fa passare per tossicodipendente per farsi dare psicofarmaci, perché preferisce passare la giornata senza capire bene quello che gli succede attorno; quello che ci dicono è che più del 70% dei detenuti è sotto psicofarmaci. È difficile, ci dicono, trovare in infermeria un farmaco di base, mettiamo un Voltaren per il mal di schiena, però ogni mattina passa un carrello con “la terapia” (ovvero gli psicofarmaci). Queste sono le denunce che vengono da loro: dalle finestre e dalle lettere. Ma questi dati collimano con quanto si legge nei rapporti di Antigone, o dalle visite dei parlamentari in altre carceri, quindi li riteniamo dei racconti affidabili. In terzo luogo lamentano tempi molto lunghi per accedere ai servizi disponibili in carcere, per esempio alla biblioteca o alla palestra, e in effetti Santa Maria Maggiore è un carcere vecchio, e con poco personale.
Piero. Come definireste il gruppo che fa il presidio? In che contesto e in che luoghi è nato?
G. Non siamo un gruppo definito, come un collettivo. Direi che siamo un gruppo di amici. Non abbiamo un nome, per esempio. Ogni tanto siamo costretti a darci un nome per firmarci, mercoledì scorso quando siamo stati invitati dall’Unione delle Camere Penali a partecipare al sit-in campo Santa Margherita di pochi giorni fa [il 10 luglio 2024], ci siamo chiamati Assemblea anticarceraria, ma solo per quella occasione.
N. Direi che quello che ci definisce è un atteggiamento libertario, siamo per il superamento del carcere come istituzione. Prendiamo il carcere come un terreno di lotta al pari degli altri: di qui l’interesse per come sono organizzati dentro, quali sono le condizioni di detenzione, quali gli obiettivi e le rivendicazioni che ci possono essere. Abbiamo un approccio diverso da altre realtà che lavorano nelle carceri anche se cerchiamo di avere rapporti con le associazioni che sentiamo più in sintonia.
Piero. E il sit-in in campo Santa Margherita?
N. Il sit-in è durato quattro ore, dalle 16 alle 20. Era una “maratona oratoria”, a staffetta con altre città italiane, specifica sul tema dei suicidi in carcere. Quest’anno abbiamo toccato il numero dei suicidi dello scorso anno, e siamo solo in estate. C’erano avvocati, qualche magistrato, associazioni che lavorano dentro e fuori dal carcere con i detenuti
G. Noi abbiamo letto estratti delle lettere dei detenuti, che ci sembrava parlassero da soli.
Piero. Siete tutti giovani: studenti?
P. Il gruppo iniziale era composto da meno di dieci persone, tra studenti e lavoratori con più di trent’anni: sono quelli che leggono le lettere, rispondono e organizzano i presidi. Recentemente si sono aggiunti altri studenti, provenienti dalle mobilitazioni universitarie, così siamo riusciti a portare un numero maggiore di persone e a parlare di questi temi anche con persone che non li avevano mai affrontati prima.
N. Abbiamo fatto un paio di incontri all’università, durante le recenti occupazioni in solidarietà al popolo palestinese: ci è stato chiesto di raccontare quello che facciamo… Quando qualcuno è passato a salutare sotto al carcere con le bandiere della Palestina i detenuti dalle finestre hanno tirato fuori degli striscioni “No war”, “Peace” fatti da loro dentro le celle.
G. E poi rispondono “Palestina libera” quando si grida da sotto.
N. Una buona parte di loro è di origine araba, sono informati… hanno il Gazzettino e i Tg li vedono… Sì, dal carcere arrivavano grida “Palestina libera”.
Piero. Fate volantini? Li distribuite?
G. Facciamo volantini o manifesti che poi stampiamo, per distribuirli durante i presidi ai passanti. Il presidio del 29 giugno lo abbiamo fatto durante l’orario di colloqui dei parenti, abbiamo incontrato una madre che ha salutato il figlio con il microfono… ma è difficile avere contatti con parenti…
N. Probabilmente perché non ci conoscono… e poi abbiamo sempre la Digos vicino che guarda, le telecamere e i secondini dal carcere vedono chi passa e chi si ferma… se qualcuno ha già i suoi problemi non va certo in cerca di compromettersi.
G. Durante i presidi, ma anche nelle lettere, ci raccontano che chi cerca di contattare un giornalista o comunque denunciare una situazione all’esterno poi vien tenuto d’occhio e rischia di subire ritorsioni…
Piero. Per fare un presidio si deve mandare un preavviso?
G. Di solito lo mandiamo, è un preavviso, però sembra una richiesta perché poi si dice “presidio autorizzato”. Lo facciamo anche per poter comunicare con i detenuti nel miglior modo possibile, in tranquillità.
Nelle loro lettere i detenuti raccontano che cercano, per quanto possibile, una via istituzionale e pacifica per ottenere gli obiettivi concreti che indicano… È anche per questo che abbiamo scelto di parlare con i giornali, per far conoscere quello che loro ci raccontano…
Un paio di volte, quando sapevamo che era morto qualcuno o c’era stato un incidente grave, allora non avevamo il tempo per mandare il preavviso – che va mandato almeno tre giorni prima – e siamo andati lì per un saluto, un presidio più breve e improvvisato.
Piero. Qualche tema in particolare che ritenete debba essere conosciuto?
P. La questione del lavoro… anche l’ultima lettera che abbiamo ricevuto parla del lavoro. Quello che lamentano è la mancanza di lavoro [all’interno del carcere], che secondo loro dipende dal fatto che la posizione geografica di Santa Maria Maggiore, a Venezia, comporta un aumento dei costi per le cooperative che dovrebbero fornire il lavoro, e che quindi sono disincentivate a farlo. La mancanza di lavoro incide sia sull’aspetto diciamo ricreativo – come passare il tempo – ma anche economico, soprattutto per detenuti che non hanno amici o famiglie fuori che li possono aiutare economicamente e quindi sono obbligati a comperare in carcere prodotti che costano molto di più di quanto non costino fuori del carcere, oppure di mangiare solo quello che il carcere fornisce. Il lavoro che si svolge dentro il carcere è pagato pochissimo, ma a loro anche quel poco fa comodo.
N. Qualche anno fa, dopo la rivolta del 2015, ci scrivevano molto più detenuti, ma erano comunicazioni basate su casi personali, del tipo questa è la mia storia, faccio questo o quell’altro… adesso invece ci scrivono dei rappresentanti, si sono organizzati in un rappresentante del “braccio destro” e un rappresentante del “braccio sinistro” (o almeno così si chiamano). Comunicano come voce collettiva, usando la prima persona plurale, e così la corrispondenza è tra detenuti organizzati e le persone solidali fuori. Non so dire se scrivono le lettere collettivamente: comunque chi scrive lo fa come se raccogliesse istanze di tutti o comunque di più persone. Se che ci sia una maggiore consapevolezza dei propri diritti e della possibilità di rivendicarli.
Piero. Le lettere sono in italiano?
N. Sì: anni fa ci scrivevano più detenuti stranieri, soprattutto nordafricani, sempre in italiano, una sola volta in arabo e abbiamo fatto tradurre; oggi invece ci scrivono italiani.
G. Un’altra differenza, a detta almeno di chi mi racconta cosa succedeva una volta: anni fa le rivolte erano più violente; oggi invece ricorrono a scioperi della fame, trattative, parlare con il direttore, far conoscere la propria situazione. Tendono a seguire vie più “istituzionali” anche se non mancano i momenti di conflitto, anche duro.
N. Lunedì scorso quando abbiamo fatto un presidio dopo aver saputo del suicidio avvenuto a Santa Maria Maggiore, la prima cosa che ci hanno detto è stata: siamo in sciopero, sciopero vuol dire tante cose, da quello che ho capito avevano rifiutato il cibo (sciopero del carrello). Ma più in generale l’abbiamo interpretata come una protesta diffusa e coordinata.
Piero. Potete raccontare com’è andato il presidio ieri l’altro?
N. Questa volta siamo stati una mezz’oretta. La notizia del suicidio era uscita la mattina. Ci siamo sentiti tra di noi, siamo andati sotto il carcere, sono venute anche molte persone che avevano sentito della tragica notizia e volevano portare solidarietà. Abbiamo chiesto notizie. Ci hanno risposto dalle finestre che si era impiccato uno, al terzo piano del braccio sinistro. Poi la maggior parte del tempo che passiamo là sotto sono richieste di canzoni. Facciamo da jukebox praticamente…
Piero. Che tipo di canzoni chiedono? Italiane?
N. Rap, neo-melodico, qualcosa di techno…
G. Le canzoni rap più richieste sono quelle in italiano ma di artisti con origini nord-africane… la musica rap parla molto di carcere, ma anche di rivalsa da contesti di marginalità sociale. Crimine, quartieri popolari, problemi con la repressione della polizia.
N. È un immaginario con cui si identificano.
G: Ogni tanto chiedono qualcosa di neo-melodico, che anche quello è un genere che veicola molti di questi temi.
Piero. Sono canzoni vecchie? Recenti? Cantanti uomini?
P. Per lo più recenti, direi degli ultimi cinque anni, ma può variare molto in base al genere musicale. Gli artisti sono per lo più uomini ma non solo.
G. Penso che queste canzoni piacciano perché parlano della loro condizione non solo dentro al carcere, ma anche quella che potevano vivere fuori. Soprattutto per i detenuti che sono originari del Maghreb ma sono immigrati o nati in Italia, sono canzoni che definiscono la loro appartenenza a un gruppo sociale ben definito. Inoltre, forse entra in gioco anche il fatto che nel gangster rap c’è un forte sentimento di rivalsa.
Appendice
Brani di lettere di detenuti nel carcere di Santa Maria Maggiore dal 13 aprile al 10 luglio 2024, letti dall’“assemblea anticarceraria di Venezia”, durante il sit-in (“Maratona oratoria”) promosso dall’Unione delle Camere Penali in campo Santa Margherita il 10 luglio 2024. Sono lettere che si propongono come voce collettiva dei detenuti di entrambe le ali del carcere (“braccio sinistro” e “braccio destro”).
*** […] Abbiamo bisogno che non si spengano i riflettori, perché qui succede abbastanza spesso tentativi di suicidi salvati dai compagni di cella e poi affrontati con psicofarmaci. I problemi sono tanti ma vanno suddivisi ed affrontati in modo diversificato. […] Il sovraffollamento è quello che compromette tutto, pensate che le celle al primo piano del destro e del sinistro sono grandi circa tre metri x quattro, incluso il bagno. Hanno il letto a castello di tre piani, in dodici metri quadrati vivono tre persone, esseri umani, chiusi dentro e per fare qualsiasi cosa devi chiedere il permesso. Il regolamento carcerario parla di otto metri quadrati a detenuto e la terza branda è fuori legge. Tutti passiamo lì almeno un mese, ma ci sono persone che sono mesi e anni che vivono lì. Le celle al secondo e al terzo piano del destro e del sinistro sono più grandi, ma si vive in sei persone. La più grande ha sempre due file di brande da tre piani […] non esistono le visite specialistiche e mancano farmaci, quindi tachipirina o psicofarmaci per qualsiasi cosa. […]
*** […] Venerdì ha provato a togliersi la vita con un’overdose di psicofarmaci (distribuiti dalla “nostra” farmacia) un ragazzo di vent’anni […], che era al primo piano in celle da tre persone […] chiusi dentro tutto il giorno con solo due ore d’aria la mattina e due ore d’aria il pomeriggio. Lo hanno portato via venerdì alle sei di sera in ambulanza, praticamente in coma. […] Di tutto questo l’opinione pubblica non sa nulla e i giornali e telegiornali non se ne occupano. Qui le “voci” sono che è morto purtroppo! […] Qui vogliono nascondere tutto, ma è molto importante che le morti in carcere non siano vane. Lo Stato italiano non può più rimandare, non si può aspettare, in carcere si MUORE. Di problemi ne abbiamo tanti, dal fatto che qui calpestano i nostri diritti umani e civili ogni giorno, alla mancanza di lavoro (essenziale), educativo, sportivo e di salute. È basilare affrontare subito il problema di sovraffollamento e suicidi; non si può morire a vent’anni di psicofarmaci dati dallo Stato. NON SI DEVE! […] Per favore, questo è un grido d’allarme dal carcere, aiutateci a combattere questo sistema. Non è giusto che sia morto per nulla, sotto tutela dello Stato!
*** […] I tentativi di suicidi sono ormai settimanali e quasi sempre vengono “sventati” dai compagni di cella e poi psicofarmaci e nessun supporto di psichiatri e psicologi o parroco… è un argomento tabù, da nascondere e chi ci prova si vergogna e si chiude in se stesso. […] In questo momento stiamo lottando per diversi punti già elencati nella precedente lettera, con l’obiettivo di migliorare le condizioni carcerarie. […] Scusate gli errori e le forme, ma sono giorni che ci sono tensioni, risse, ecc… Un ragazzo albanese del destro, dopo aver letto l’articolo sui braccialetti elettronici, ha cominciato a distruggere tutto in cella e a fare casino tutto il giorno. Sono intervenuti anche i carabinieri in tenuta antisommossa e questo sta creando tensioni. […] Ci sono cose gravi da mettere a posto e me la sono presa a cuore ma ho, abbiamo bisogno di una mano per favore!
*** […] Per quanto riguarda l’ultimo suicidio, qui in carcere è successo di domenica mattina. Non conosciamo l’orario e la dinamica dei fatti precisi, sappiamo solamente che è avvenuto al terzo piano sinistro, mentre i suoi compagni di cella erano in chiesa per la funzione. Le voci di corridoio dicono che si è suicidato facendosi un cappio. […] Per quanto riguarda il caso di suicidio dell’anno scorso, se non ci fraintendiamo, voci di corridoio mormorano che gli fosse arrivato un definitivo mentre era in semilibertà e forse questo è stata la causa scatenante dell’atto estremo. Sempre voci di corridoio mormorano che la moglie avesse ricevuto una telefonata di addio poco prima del suicidio e che, subito dopo avesse chiamato il carcere per avvisare il personale di polizia penitenziaria dell’imminente pericolo.
Puntualizziamo che, chi sta in semilibertà è recluso sopra gli uffici dell’infermeria e che quel giorno non vi erano appuntati al piano, da quello che abbiamo sentito. […] L’edificio è vecchio e fatiscente, l’aria è un cubo minuscolo, anzi tutte le arie sono minuscole e per quanto riguarda le attività ricreative sono quasi inesistenti, al massimo un mazzo di carte e un gioco da tavola. […] Tre bracci sono a celle chiuse, mentre altri tre sono con orari intervallati aperti e poi chiusi. […] Per quanto riguarda la “cella liscia” invece, per motivi di ordine e sicurezza a volte vi si ricorre poiché capita che qualche detenuto abbia comportamenti violenti e pericolosi per sé o per gli altri. […] Si tratta di una cella priva di suppellettili, televisore, ecc… Si viene controllati a vista dagli agenti di polizia penitenziaria fino a che la situazione comportamentale non rientra nei parametri di norma previsti. In vero non vi è una detenzione sicura di utilizzo per la medesima, ma viene utilizzata una cella a seconda della o delle circostanze e o disponibilità e o necessità.
*** “Il lavoro in carcere” è quasi inesistente e in un carcere dove la maggior parte dei detenuti viene o proviene da congressi sociali bassi, da condizioni di vita complesse e difficili, lavorare e guadagnare sarebbe di utilità sotto tutti gli aspetti, ma così non è. Sarebbe utile accedere a beni alimentari migliori, poiché il vitto non è dei più salutari e qualitativi, sarebbe utile formare lavorativamente per il reinserimento: […] per chi non ha aiuti familiari o viene da un altro paese, avere dei risparmi all’uscita per potersi permettere un tetto, utile poter sentirsi compartecipi nell’attività di crescita sia individuale sia del collettivo e utile anche per non entrare nel circolo vizioso del crimine / carcere e non uscirne più. […] Con affetto, ORGOGLIO PRIGIONIERO!
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