Una “giornata di autonomia” cancellata dal dirigente in un liceo del Nord Est. Proteste degli studenti, programma alternativo, intimidazioni, omertà. Il racconto di un’insegnante inframmezzato dalla testimonianza di uno studente.
Primi di maggio
B.: “Ha sentito che scandalo? La giornata dell’autonomia quest’anno non si farà!”.
“Come mai non si fa nulla?”, chiedo io. B. sembra infastidito dalla domanda, ci potrebbero mai essere delle motivazioni valide per non farla?! La giornata dell’autonomia si deve fare, punto.
Da quel che so, nel nostro istituto è da una ventina d’anni che si fa, è citata anche nel PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) come uno dei progetti che mira a valorizzare la creatività e la responsabilità degli studenti. È una giornata di scuola “alternativa” nata per istituzionalizzare le meno controllabili autogestioni attive ancora negli anni Novanta.
B. mi spiega che il dirigente ha bocciato l’idea dei rappresentanti d’istituto – poco più di qualche nome da invitare a parlare a scuola –, sostenendo che non era in linea con quanto stabilito a inizio anno, ovvero che la giornata dovesse avere carattere orientativo. In più, ha posto il problema degli spazi e del fatto che fosse faticoso spostare le sedie di qua e di là… insomma, pretesti… e che oramai non c’erano i tempi tecnici per organizzarla degnamente.
B. è esasperato: “è stato lui a dire che la giornata dell’autonomia sarebbe stato meglio organizzarla a maggio. E adesso non ci sono i tempi tecnici! E poi, perché deve avere carattere orientativo? Chi decide? Se è autonomia è autonomia, possiamo decidere noi, no? Possibile che un dirigente si comporti così? I rappresentanti hanno le ali legate, no, tarpate proprio…”.
“Quindi, alla fine, non si fa niente?”.
“Eh, vedrà…”.
Poco dopo in ricreazione
Il sole illumina il ghiaino del cortile. Gli studenti si muovono a gruppetti, chini su cellulari e merende. Con i primi caldi, in molti lasciano le aule per passare qualche minuto all’aperto.
A due passi dalla porta d’entrata, si forma un cerchio di studenti. Parlano, discutono. Sono di varie classi e sezioni, sembra un appuntamento. È successo qualcosa?
Sulla sinistra altri colleghi allungano occhi e orecchie. Per la prima volta dopo anni di isolamento gli studenti si parlano. Lo fanno così, davanti a tutti? Perché?
D.: Esco in cortile per fare ricreazione e vedo un gruppo di miei compagni discutere in modo acceso. J. e B. sono i più battaglieri. La discussione verte sulla giornata dell’autonomia e di come quest’anno non si sarebbe fatta. Lo sanno poiché hanno partecipato alla riunione del comitato studentesco avvenuta il giorno prima. Per me l’informazione è nuova e mentre ci penso sento parlare di sciopero. È a quel punto che mi attivo e chiedo: “ma se al posto di uno sciopero facessimo noi la giornata dell’autonomia?”.
Lo stesso pomeriggio
D.: Mi metto a sfogliare i miei contatti alla ricerca di un luogo dove organizzare l’evento e grazie a M., il bibliotecario, riesco a contattare quelli dell’auditorium locale e ad avere un via libera. A quel punto, corro subito entusiasta fuori dalla biblioteca, salgo sul motorino e mi precipito in centro per trovarmi con J. Sono eccitato e gli do la notizia: “ho trovato il posto, se vogliamo farlo possiamo”. Il resto della giornata lo spendiamo a fare chiamate alla ricerca di compagni disposti ad aiutarci nell’organizzazione e alla fine torniamo a casa con un luogo, una data, e un gruppo Whatsapp di dieci organizzatori: la giornata dell’autonomia si farà!
A metà mese
D.: I preparativi vanno avanti, abbiamo un profilo Instagram e un gruppo Whatsapp con oltre 200 studenti (alla fine saranno 360, quasi mezzo istituto). Il programma inizia a essere fitto: mostre d’arte, conferenze, interviste, stand di associazioni e varie attività ricreative. Nonostante la pubblicazione di video e locandine su Instagram, sembrerebbe che i professori stiano ignorando la cosa e a noi forse, un po’ ingenuamente, va bene così, ci sentiamo più liberi di agire.
Intanto, nelle classi, diversi studenti se ne escono dicendo che molto probabilmente l’ultimo sabato del mese a scuola non ci saranno e che pertanto verifiche e interrogazioni meglio non programmarle. Insomma, nel giro di un paio di settimane lo sanno tutti: studenti, genitori, docenti e, da quel che si apprenderà dopo, anche il dirigente.
Ultima settimana del mese: martedì
Fisso una porzione di tavolo occupato da volantini, libri di testo e cancelleria perlopiù non funzionante. È il tavolone ovale dell’aula insegnanti, anzi, è propriamente l’aula insegnanti dal momento che in onore alle lettere classiche ci accontentiamo di una sineddoche. Sono in ora buca, alla mia sinistra A. sfoglia un manuale.
“Ma tu hai capito, poi, cosa succede sabato?”, faccio io.
Percepisco una certa tensione: sa, è chiaro; ma non sa se, ed eventualmente in che modo, parlarne. È una cosa tipica del nostro ambiente, una specie di atmosfera omertosa che ci porta a non fidarci di nessuno, convinti di non sapere mai fino in fondo con chi si sta parlando.
Poco dopo rientrando a casa
Ho capito tutto! La rotondina del Brico si avvicina, mi sale il fastidio, picchio il volante. Quel silenzio è una trappola! Serve a nascondere la protesta e a cadere dal pero per avere mano libera nella punizione degli studenti. Il regolamento d’istituto recita chiaro: si prevedono sanzioni per gli scioperi “immotivati”. È come il gatto col topo. Li stiamo spingendo a infrangere il regolamento per giustificare la punizione. Possibile?
Mi mangio le mani, mi sento in dovere di smarcarmi e di difendere gli studenti da queste macchinazioni, ma non so come fare. Vabbè, l’unica è rompere il silenzio, se tutti sanno bisognerà prendere una posizione ufficiale.
Mercoledì
Ne parlo con diversi colleghi, chiedo se sanno, cosa ne pensano, ecc. Dopo un paio d’ore un collega inoltra su Whatsapp a tutti i docenti la posizione del dirigente che suona sinistramente pleonastica: “Sabato, segnare gli assenti”.
Giovedì
D.: Io e P. stiamo costruendo i cavalletti di legno per la mostra fotografica che avremmo allestito sabato. Mentre P. finisce di tagliare il legno, io ultimo la lettera che dovevamo inoltrare al preside per avvisarlo dell’esistenza della giornata dell’autonomia in modo da rendere il tutto ufficiale.
Prima di spedirla, vengo convocato all’auditorium, pensavo per gli ultimi accorgimenti prima della giornata ma una volta arrivato sul luogo scopro che a seguito di una chiamata del preside avevamo perso l’appoggio dell’associazione patrocinante e di conseguenza non avremmo potuto usare gli spazi interni né tantomeno occupare il suolo pubblico con tavoli, stand e cavalletti. Il presidente dell’associazione si era tirato indietro perché, a suo dire, il preside gli aveva detto che era in dovere di mandare i carabinieri di fronte a uno sciopero degli studenti e lui aveva paura di finire nei guai per qualche irregolarità.
Con una sola mossa tutte le attività erano state annullate. L’ha studiata bene! Ci siamo trovati senza avere il tempo di reagire. L’unica cosa che ci era rimasta era incontrarci e stare insieme. A quel punto annunciamo su Whatsapp che le attività sarebbero state annullate e chiediamo chi volesse firmare la lettera da inviare al preside. Nel giro di poche ore arriviamo a più di cento firme.
Venerdì, la vigilia
A scuola gira voce di una lettera di motivazioni inviata al dirigente e firmata da più di cento studenti. Durante la ricreazione compare sul tavolone una copia cartacea.
Gli studenti, anche loro usano un plurale maschile universale, fanno riferimento con rammarico alla mancata organizzazione della giornata dell’autonomia e al fatto che da diversi anni quest’ultima aveva perso il suo significato trasformandosi in una serie di conferenze volute dall’alto. Ci tengono a ribadire la legalità delle loro azioni: non è un capriccio ma il rispetto del regolamento d’istituto che prevede la realizzazione di iniziative autonome degli studenti, in linea con i loro interessi, promuovendo la partecipazione attiva degli stessi ai processi decisionali dell’istituto.
D. è deluso dal voltafaccia di quelli dell’associazione che hanno calato le braghe ed è arrabbiato per la reazione del dirigente che invece di convocarli ha agito nell’ombra per fargli terra bruciata. Si mostra comunque risoluto: “Frega niente. Andiamo lo stesso. Rimaniamo fuori nel parco con le coperte. Era una bella iniziativa, peccato… Speriamo nel meteo, potrebbe piovere, a quel punto siamo fregati”.
B. è più titubante, vista la reazione del dirigente, ha paura delle conseguenze, ha la maturità quest’anno. Si capisce che non ha paura di una sanzione giusta che potrebbe anche non esserci, ma di quella arbitraria perché sa per esperienza che a scuola va così: “Ha detto che manda i carabinieri! So che diversi insegnanti, anche i più insospettabili, stanno girando per le classi, specie tra quelli di prima e seconda, paventando gravi ripercussioni. ‘Segneremo gli assenti’, dicono, alludendo a chissà cosa”.
Mi arrivano conferme da più parti. Sono incredulo, come manda i carabinieri?! Intanto, monta la rabbia degli studenti, c’è chi grida allo scandalo, c’è chi fantastica azioni di protesta esemplari.
D.: L’ho vista bruttissima, erano tutti incazzati. Volevano prendere i picchetti e andare fuori dal liceo come avevano pensato fin dall’inizio. Io e altri eravamo contrari, temevamo ulteriori ritorsioni. Abbiamo fatto fatica, ma alla fine li abbiamo convinti che era meglio fare quello che ci eravamo detti.
Sabato
Sono soprattutto i più grandi a mancare, al biennio l’intimidazione ha funzionato. Alla prima ora, i bidelli passano nelle classi – ordini dall’alto – per controllare il numero degli assenti. Giungono voci che al parco saranno un centinaio e che sono riusciti a portare avanti solo una minima parte del programma. Dei carabinieri, neanche l’ombra.
Scrutini di giugno
Sono passati una decina di giorni e tutto tace. Gli studenti hanno aspettato, invano, una risposta.
Il coordinatore di classe scorre i voti di condotta. Sarà arrivato il momento della sanzione? Alza lo sguardo verso K. cercando conferme. Intuisce e scuote il capo: “Di quello… non possiamo neanche parlarne…”.
Torna l’omertà ma questa volta, pare, con un retrogusto amaro.
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