di Anna Lora Wainwright, Zezheng Yu
Due studiosi raccontano durante un incontro pubblico le complessità dell’essere migranti provenienti dalla Cina, in Italia. Prime e seconde generazioni. Integrazione o diritti? Con un confronto tra Venezia e Prato. Trascrizione a cura di Piero Brunello.
“Venezia è un grande villaggio”
Anna Lora Wainwright si presenta: viene da un paese del vicentino, è andata in Inghilterra per fare l’università, poi ha trovato marito lì e si è fermata a lungo, diventando docente ad Oxford. Un anno fa è tornata in Italia con la famiglia, perché voleva che i figli conoscessero la realtà italiana. Ha fatto come i cinesi, dice, che vogliono che i figli sappiano bene l’italiano, ma che non perdano il patrimonio culturale e linguistico da cui provengono.
Dopo aver studiato antropologia all’università, ha condotto la ricerca sul campo in un villaggio nel sud ovest della Cina, in una comunità contadina. Oggi in Cina trova molto difficile fare quello che a lei piace fare, cioè parlare con persone comuni, e così da due anni svolge la sua ricerca con i cinesi a Venezia: all’inizio facendo lavoro di volontariato presso PassaCinese, e poi conoscendo personalmente famiglie cinesi.
La cosa più urgente da fare, dice, è smontare stereotipi. Non è vero che i cinesi non si vogliono integrare, lei conosce tante persone che fanno tanti sforzi per imparare l’italiano, cosa difficile da combinare con gli impegni nel lavoro e nella cura dei figli e delle persone anziane. Le famiglie cinesi sono accusate di non curarsi dei bambini a scuola: non è vero, ci sono famiglie che chiudono il negozio per portare i bambini a PassaCinese alle 4 del pomeriggio. I cinesi vogliono piuttosto che in Italia si discuta delle discriminazioni che incontrano, e le chiedono di raccontare le aggressioni verbali (a partire dai nomignoli che i piccoli si sentono dire a scuola) e fisiche che subiscono e a cui, dicono, in Italia nessuno crede.
In generale (Anna sottolinea che sta generalizzando) ci sono due aspetti che troviamo sia nella cultura italiana che in quella cinese. Uno è l’attaccamento alla famiglia; l’altro è la convinzione che mangiare assieme è una cosa importante, e un modo per creare legami. Quando è tornata in Inghilterra dopo la ricerca sul campo in Cina, si sentiva più spaesata che non nel villaggio cinese.
Tanti cinesi che vengono in Italia, ma anche in Europa, vengono dalla provincia del Zhejiang, in particolare dai paesi come Wenzhou e Qingtian. Quando i primi abitanti sono andati via, era un paese di montagna, ora è una città con palazzi, grattacieli, architettura europea ; il viale lungo il fiume è costeggiato dalle bandiere di tutti i paesi del mondo in cui sono emigrati gli abitanti, ci sono caffetterie, ristoranti dove si può trovare la bistecca alla fiorentina o i churros spagnoli, la gente che ritorna riporta insomma le esperienze vissute all’estero. Una grande scritta bene in vista in paese dice: “Superate le montagne, superate i mari, andate all’avventura”, uno spirito di cui gli abitanti sono tuttora orgogliosi.
I cinesi che stanno a Venezia non arrivano direttamente dalla Cina, ma spesso sono passati prima da Firenze o da Prato, o da altri paesi europei, quindi hanno rapporti con parenti e con altri cinesi che vivono in Italia o in Europa. Per esempio all’epoca del lockdown, quando in Sicilia si stava meglio, da Venezia andavano in Sicilia a lavorare da parenti. Si sa che gli ambiti lavorativi in cui i cinesi si inseriscono sono diversi – laboratori tessili, locali e ristoranti, negozi dove trovi la roba che trovi solo lì e non altrove – dimostrando di saper cogliere opportunità economiche, a Venezia per esempio la pasta fresca ora la puoi trovare anche da un cinese.
È difficile – dice Anna – parlare delle vicende migratorie con le prime generazioni: non ne parlano neanche con i figli; le prime generazioni, a differenza dei figli, spesso vedono il loro futuro ancora in Cina. Il motivo per cui le persone anziane rimangono in Italia o in Europa è soprattutto il desiderio di restare con i figli e i nipoti. Ma se devono restare in Italia, le persone con cui ha parlato, anche della prima generazione, dicono di trovarsi bene. Si lamentano dell’umidità di Venezia ma ne apprezzano lo stile di vita tranquillo, come nel villaggio da cui provengono: Venezia per loro è un po’ come un grande villaggio…
Genitori e figli
Zezheng Yu (nato in Cina e di nazionalità cinese, vive in Italia da anni) sta facendo il dottorato in Antropologia culturale all’università di Padova con una tesi sulla “diaspora cinese” a Prato, ha appena terminato la ricerca sul campo. Per prima cosa spiega le differenze tra il caso di Prato e quello di Venezia.
Prato è una città industriale, nel tessile e dell’abbigliamento, e molti cinesi non lavorano in bar e ristoranti come a Venezia, ma nelle confezioni, con orari di lavoro che vanno da 12 a 14 ore al giorno. A Prato nel 2022 c’erano più o meno 30mila cinesi, concentrati in una zona abbastanza circoscritta. Questa concentrazione ha creato un muro, la comunità cinese a Prato è percepita come chiusa, impenetrabile e anche illegale (nella gestione della fabbrica).
Zezheng Yu ha cominciato la sua ricerca facendo il volontario al Punto Luce, un centro di aggregazione sociale contro la “povertà educativa”, che attrae moltissime bambine e bambini, ragazzine e ragazzini cinesi. Gli educatori e le educatrici offrono gratuitamente servizi di accompagnamento agli studi, sport, laboratori.
Commentando quello che aveva detto Anna, e cioè che a Venezia i genitori chiudono i negozi per poter accompagnare i figli a Passacinese, Zezheng Yu dice che a Prato questo non sarebbe possibile, perché a Prato molti cinesi lavorano in fabbrica, e non possono o fanno molta fatica ad assentarsi dal lavoro per seguire i figli. Invece, come a Venezia, anche i genitori cinesi di Prato mandano i figli in Cina.
Zezheng Yu però guarda ai bambini: come vivono l’esperienza migratoria? E spiega perché non bene. Una delle cose che colpisce di più è la modalità con cui i genitori comunicano ai figli che devono andare in Italia. Zezheng Yu racconta l’esperienza di una ragazzina che all’epoca della storia aveva 9 anni. La mamma la sveglia in piena notte e le dice: andiamo via. La ragazzina chiede: dove? La mamma: in Italia. La ragazzina dice: allora andiamo a svegliare la sorellina. La mamma dice: no, no, lasciamo la sorellina tranquilla, andiamo via noi due. Questo racconto mostra che i genitori cinesi non hanno un progetto di emigrazione preciso per i figli. Quindi quando i figli sono portati in Italia incontrano tantissime difficoltà, non solo nel contesto scolastico ma anche in quello familiare, soprattutto data la loro età. Nel caso migliore se arrivano piccoli possono imparare la lingua italiana e interagire con i coetanei, ma spesso arrivano verso i dodici anni, in seconda o terza media.
La possibilità di inserirsi dipende anche dalle scuole. Zezheng Yu ha fatto ricerca in due scuole medie di Prato. Nella scuola vicina alla concentrazione di abitanti cinesi, il 70% degli alunni è di origine cinese, ed è difficile insegnare ad alunne e alunni con un livello linguistico molto diversificato, perché ci sono cinesi nati in Italia, quelli appena arrivati, quelli che hanno studiato in Italia, poi sono andati in Cina e poi ritornati. Nell’altra scuola invece hanno formato due sezioni solo con alunni che parlano cinese, una in prima media e una in terza media. Sono sezioni aperte, per cui quando gli alunni arrivano a un certo livello di competenze vengono smistati in sezioni parallele, dove si inseriscono facilmente; ma, da quanto ha potuto osservare Zezheng Yu, gli studenti cinesi che rimangono nella stessa sezione sono spesso demotivati, sebbene gli insegnanti siano molto qualificati.
Solitamente quando i genitori vengono convocati a scuola, non si presentano. Un primo motivo, dice Zezheng Yu, può essere che il ragazzino o la ragazzina non porti il foglio della comunicazione della scuola ai genitori (anche se esistono altre forme di comunicazione come email o registro elettronico). Il secondo motivo è che i genitori non hanno tempo. Come mediatore Zezheng Yu prova a chiamarli, loro rispondono e dall’altra parte del telefono si sente zzzz, zzzz, il rumore della macchina da cucire, stanno lavorando, il rumore di fondo impedisce di parlare e di sentire. Le famiglie operaie non hanno risorse, nemmeno culturali, per aiutare i figli e consigliarli a scuola. Inoltre, a differenza dei genitori italiani, tanti genitori cinesi tendono a delegare i figli alla scuola, pensando che i ragazzi hanno bisogno di autonomia e che questo fa bene alla loro crescita. Questo, dice, è un modo di pensare diffuso in Cina, dove il rapporto scuola-famiglia non è frequente come in Italia.
“Seconde generazioni”, convivenza e burocrazia
A una domanda da parte del pubblico, se le seconde generazioni possono aiutare l’integrazione dei cinesi in Italia, Zezheng Yu risponde che l’espressione “seconde generazioni” non è un termine appropriato, meglio parlare di figli nati in Italia da migranti cinesi. La “seconda generazione” implica infatti una permanenza costante in Italia, invece questi bambini nascono in Italia, vengono mandati in Cina, poi tornano in Italia… Al posto di “integrazione”, Zezheng Yu preferisce parlare di “convivenza”, che può avvenire in diverse forme, a seconda dei casi: non necessariamente il cinese deve diventare italiano, ma ci possono essere coppie di origine cinese che tra di loro parlano italiano.
Sarebbe meglio parlare di diritti, il che apre un’altra questione. I cinesi non possono avere la doppia cittadinanza. La nazionalità italiana è una opzione che lo Stato italiano offre all’età di diciotto anni a chi è vissuto diciotto anni in Italia, ma la Cina non riconosce la seconda cittadinanza, e quindi il cinese deve valutare, sapendo che se prende il passaporto italiano perde quello cinese.
Si inserisce Anna. Un cinese che a 18 anni chiede la nazionalità italiana e la ottiene, perde infatti il passaporto cinese e deve fare la fila ogni volta che deve chiedere il permesso di visitare il paese dov’è nato. I cinesi nati in Italia, conosciuti da Anna, le dicono: con il permesso di soggiorno in Italia posso abitare e vivere qui, ma se rinuncio alla cittadinanza cinese non posso più tornare a casa a trovare i nonni, e se i miei genitori tornano in Cina e io ho bisogno di andarli a trovare quando stanno male il passaporto cinese non posso più farlo. Non si tratta di volere o non volere la nazionalità italiana… Teniamo presente, dice Anna, che ci sono tanti modi di essere cinesi, come ci sono tanti modi di essere italiani. Lei per esempio, ha abitato per più di venti anni in Inghilterra, dopo la Brexit non potevano mandarla via, però lei ha preferito per sicurezza il passaporto inglese: ma non per questo ha cominciato a sentirsi inglese il giorno dopo…
Zezheng Yu riprende il tema dei giovani italo-cinesi. Di recente questi fanno sentire la loro voce, ci sono diverse associazioni come Associna-Associazione Seconde generazioni cinesi, Unione giovani italo cinesi e associazioni sportive in tutta Italia. Queste associazioni non solo mettono in contatto i cinesi con gli italiani, ma anche le generazioni cinesi più giovani con quelle più anziane. Questi ragazzi, dice Zezheng Yu, si rendono conto dell’importanza della propria voce, perché fanno da ponte tra la prima generazione e quelle successive: denunciano i pregiudizi nei confronti dei cinesi, e cercano di spiegare come è la realtà. Zezheng Yu ritiene importante questa presa di parola, e dice che i giovani sinofoni di famiglie operaie fanno più fatica a far sentire la propria voce.
Nota. Resoconto dell’incontro “La Cina vicina. Nuovi paesaggi urbani: la presenza cinese a Venezia”, promosso da aMarghera e Laboratorio Libertario all’Ateneo degli Imperfetti a Marghera il 31 maggio 2024 (interventi di Anna Lora-Vainwright, Zezheng Yu e Marcello Feraco, introduzione di Giancarlo Ghigi). Le foto da Qingtian (l’immagine di apertura e le altre due che illustrano l’articolo) sono di Teresa Irigoyen-Lopez, che ringraziamo per avercene concesso l’uso.
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