L’esperienza del cofondatore dell’associazione PassaCinese che da diversi anni svolge opera di mediazione culturale nelle scuole, collaborando con il Servizio Immigrazione del Comune di Venezia, oggi accorpato al servizio Pronto Intervento Sociale, Inclusione, Mediazione.
La mia prima esperienza in Cina
Il mio interesse per la Cina è nato quando facevo la terza superiore nel 2007, perché il mio migliore amico voleva fare l’esperienza all’estero di un anno, voleva andare negli Stati Uniti: mi ha messo la pulce nell’orecchio, ma io non volevo andare negli Stati Uniti e ho scelto la Cina sfogliando un manuale di paesi. Ho passato un anno in Cina vivendo presso una famiglia. Lo scoglio linguistico all’inizio è stato enorme, non esistevano gli smartphone, avevo dizionari. La mia reazione iniziale è stata quella di parlare inglese, imparare l’inglese per comunicare, stavo con gli studenti internazionali, e poi ho cominciato a innamorarmi della cultura cinese. Quando sono tornato in Italia ho provato perciò una sorta di empatia con i cinesi alle prese con l’apprendimento dell’italiano.
L’associazione PassaCinese
Oggi sono il presidente dell’associazione PassaCinese. L’associazione nasce da un gruppo di studenti di Ca’ Foscari, italiani e cinesi, nel 2015. Ci eravamo conosciuti in Cina grazie a uno scambio culturale di Ca’ Foscari, e una volta tornati a Venezia abbiamo iniziato ad aiutarci a vicenda per superare l’esame, con scambio di appunti e così via, e infatti il gruppo inizialmente si chiamava “Passa l’esame in cinese”. Poi abbiamo cominciato a lavorare come mediatori culturali nelle scuole per il Servizio Immigrazione del Comune di Venezia. Accoglievamo i bambini cinesi appena arrivati per aiutarli al primo impatto con la scuola, e poi partecipavamo ai colloqui tra insegnanti e genitori, di modo che potessero parlarsi. La maestra diceva: il bambino o la bambina ha bisogno di aiuto a casa; allora la mamma faceva a me: puoi venirmi a casa ad aiutarmi? La prima volta ci sono andato io, dopo l’ho proposto agli altri universitari del gruppo, e quindi abbiamo cominciato a mandare i singoli universitari a casa delle famiglie per aiutare i bambini a fare i compiti o imparare l’italiano, di modo che lo studente italiano che studiava cinese all’università e non aveva modo di parlarlo aveva la possibilità di interagire con persone cinesi, e in cambio i bambini cinesi avevano qualcuno che li aiutava con l’italiano.
Questa cosa ha avuto successo. Eravamo un gruppo di 15-20 ragazzi, abbiamo trovato delle aule dove trovarci, in spazi più comodi rispetto a quelli delle famiglie, e così è nata l’associazione, che adesso gestisce un doposcuola a Venezia, a Cannaregio, uno a Mestre in via Piave e uno a Marghera in via Longhena. Facciamo due ore alla settimana per bambini cinesi, ma adesso stiamo ampliando a bambini di altri paesi orientali, come i bengalesi. Negli ultimi due anni inoltre abbiamo messo a frutto le nostre competenze di interpreti e di insegnanti di Italiano e così abbiamo aperto una cooperativa che ha sede a Mestre in via Piave, che offre servizi linguistici (corsi di italiano, corsi di cinese, corsi di cucina, traduzioni, ripetizioni a pagamento): abbiamo cioè cercato di farne un lavoro, sempre mantenendo lo scopo sociale che è quello di far incontrare persone cinesi e italiane, tramite azioni di volontariato ed eventi, ma cercando di renderlo sostenibile anche economicamente.
Una famiglia cinese
Facendo questo lavoro da una decina d’anni, e frequentando ogni anno una trentina di famiglie, posso dirvi una storia “tipo”, non quella di una famiglia vera ma di una inventata, per esemplificare molti aspetti comuni alle situazioni che ho conosciuto. La famiglia ha due figli, che chiamerò Yuping e Yuhan. I genitori sono arrivati in Italia alla fine degli anni Novanta, vengono da Qingtian, un paesino del sud-est della Cina, tra Shanghai e Hong Kong, sulle colline, vicino a Wenzhou, che è una grande città. Grazie a un parente che aveva un ristorante a Venezia sono riusciti a venire in Italia in aereo con un permesso di lavoro, e sono stati assunti nel ristorante. Questo non succede spesso, tante volte i cinesi vengono in Italia illegalmente e poi con le varie sanatorie vengono regolarizzati. I due giovani si sono conosciuti, si sono innamorati e hanno formato una famiglia, sempre lavorando come dipendenti del parente. Nasce una figlia, Yuping. Il loro progetto era di lavorare come dipendenti, ripagare il debito che si erano fatti per venire in Italia (il viaggio e quello che gli aveva chiesto il parente in cambio della chiamata), e nel frattempo mettere da parte abbastanza soldi per aprirsi un loro bar in Italia. Quindi hanno risparmiato, e quando la bambina ha avuto un anno più o meno l’hanno portata in Cina dalla nonna e gliel’hanno affidata in modo che loro potessero continuare a lavorare e mettere via soldi e la bambina potesse conoscere i nonni e il paese di origine. Dopo tre anni è nato un fratellino, Yuhan, e questo fratellino va anche lui dai nonni. Passano gli anni. Quando la figlia raggiunge l’età della prima media, i genitori sono nel frattempo riusciti ad aprire una attività a Venezia, perciò richiamano i due bambini. Una fa la prima media, perciò ha già fatto cinque anni di scuola in Cina, l’altro invece fa la seconda o terza elementare. I figli hanno visto i genitori solo in estate, magari non assieme, e magari un’estate è anche saltata a causa del covid, e quindi all’arrivo in Italia ci sono dei problemi.
La ragazza in prima media non sa bene in che famiglia vive, la mamma se la ricordava perché d’estate le portava i regali e stava con lei un paio di settimane, e invece adesso la mamma le dice di mettere a posto la stanza, di fare bene a scuola, non come faceva la nonna… Poi c’è un problema con la scuola. In Cina la scuola è molto impostata, ci sono classi di cinquanta ragazzi, c’è una classifica che tiene conto della media dei voti e che viene aggiornata in tempo reale per cui si sa in ogni momento chi è numero 1 della classe e chi il numero 25; è una scuola molto competitiva, lei in Cina era brava, era il numero 7 della sua classe, e qui in Italia invece è l’ultima, le danno da fare cose semplici, da bambini, qui nessuno valorizza le sue capacità… Non riesce ad avere rapporti con i compagni perché non sa l’italiano, nel primo periodo una sua compagna cinese le dà una mano e dopo si stufa anche lei, e lei va in crisi, passa tutto il tempo al telefono con gli amici e le amiche della vecchia scuola in Cina.
Di solito in situazioni come queste il servizio immigrazione del Comune di Venezia ci contatta, e così incontriamo questi ragazzi per un supporto, con un aiuto per l’italiano, facendola socializzare con coetanei sociali, inserendola in attività sportive dove poter socializzare anche senza parlare.
Il fratellino invece, che fa la seconda elementare, con la mamma riesce facilmente a riprendere i rapporti, dopo un anno riesce a capire più o meno l’italiano, fa i compiti assieme ai compagni. Ma sorge un altro problema, la conoscenza del cinese. Il cinese non è una lingua alfabetica, il cinese ha i caratteri, per leggere un giornale bisogna conoscere circa 5mila caratteri, quindi non puoi imparare giocando, servono circa quattro anni di elementari per imparare a leggere e scrivere. I genitori parlano dialetto, non parlano cinese mandarino; il ragazzino con l’italiano a scuola se la cava, ma appena comincia ad ambientarsi i genitori lo mandano alla scuola cinese, per cui due pomeriggi alla settimana e tutto il sabato fa scuola di cinese. Mentre i suoi compagni fanno basket, lui passa tre-quattro ore a copiare caratteri e con un metodo scolastico proprio della Cina a cui lui, a differenza della sorella, non è abituato, per cui dopo un po’ si rifiuta di andare alla scuola cinese e non vuole aver niente più a che fare con il cinese. Quando diventerà un adolescente non avrà una lingua per parlare con i genitori, perché il dialetto che conosce non ha le parole dell’adolescenza, starà sempre con amici italiani, e da adolescente si chiederà chi è, se italiano o cinese. I genitori vogliono che lui faccia l’alberghiero perché gestiscono un locale, mentre a lui piace storia dell’arte, ma non riesce a farlo capire ai genitori, pensano che l’arte sia al massimo un hobby, a lui mancano le parole per fargli cambiare idea.
Un’ultima cosa da tenere in considerazione è la sovrapposizione tra i discorsi sulla Cina come entità politica statale e l’esperienza personale di ragazzi che per i loro tratti somatici sono tenuti a rispondere di quello che fa Xi Jinping. Per sopravvivere ci sono strategie diverse, c’è chi si sente di appartenere alla Cina, mentre altri vogliono tirarsene fuori rifiutando di passare per esperti di geopolitica… Di sicuro la politica andrà a confliggere con l’esperienza del ragazzo o della ragazza cinese in Italia.
La scuola in Cina e in Italia
Gli studenti che hanno fatto le elementari o altre scuole in Cina fanno molta fatica in Italia perché il sistema cinese è tutto funzionale all’esame finale di maturità, che è lo spauracchio di tutti i ragazzi cinesi perché l’esame finale è a punti; sulla base del punteggio finale si entra in una graduatoria nazionale, in cui tu competi con 10 milioni di studenti che ogni anno fanno la maturità, e sulla base di quella graduatoria tu puoi scegliere una università di fascia A se hai un punteggio alto, una università di fascia B se hai un punteggio un po’ più in basso e così via, e in base all’università che fai avrai un lavoro più alto e più remunerato, perciò la carriera e l’ascesa sociale sono molto più determinate dalla scuola in Cina rispetto all’Italia. Parliamo di famiglie che hanno prevalentemente figli unici, e quindi tutta la pressione delle famiglie, dai nonni ai genitori, è sui ragazzi che devono avere un risultato scolastico finale buono per ricompensare gli sforzi della famiglia. Naturalmente, siccome la valutazione è a punteggio, le materie scientifiche che possono essere maggiormente valutate con un punteggio sono più considerate rispetto a quelle umanistiche.
Reti basate sulla fiducia, non sulla “nazionalità”
Tutti i cinesi che vengono in Italia vengono dalla zona di Wenzhou, una delle poche zone, dopo Mao, in cui era possibile attuare un’economia di mercato. Lì sono nate le prime aziende famigliari, i capitali che c’erano erano quelli delle famiglie: per famiglia s’intende lignaggio, cioè una famiglia molto allargata. La famiglia metteva assieme i soldi, li dava a uno che dal villaggio andava nella città, a Wenzhou, questi investiva i soldi in un laboratorio o in una fabbrichetta e quando restituiva i soldi alla famiglia, la famiglia li reinvestiva prestandoli a un’altra persona che apriva a sua volta una attività, e con questo sistema hanno potuto realizzare capitali che poi sono stati investiti fuori della Cina. Il sistema era questo: prestiti basati sulla fiducia, non c’era la banca di mezzo, non c’erano garanzie di immobili. La cosa principale era l’immagine, la faccia, la fiducia all’interno di forti legami famigliari. Le relazioni famigliari e i rapporti personali sono alla base delle attività economiche.
Proprio per questo, non so quanto si possa parlare di “comunità cinese”, almeno a Venezia. Non è detto infatti che le famiglie cinesi conoscano le altre famiglie cinesi. I cinesi che abitano a Venezia fanno riferimento al paese da cui provengono, alle persone da cui hanno preso soldi in prestito; conoscono a Venezia le famiglie del paese di origine, oppure parenti che stanno a Firenze o da altre parti. Questo crea poca coesione comunitaria.
“Seconda generazione” o politiche per l’immigrazione?
Non è scontato che la seconda generazione potrà risolvere i problemi di comunicazione e convivenza, lo farà se c’è un contesto adatto. Non è detto che la seconda generazione possa fare da ponte, per fare questo devi possedere un bilinguismo attivo, sia in italiano sia in cinese, sia scritto sia orale, e questo non si verifica facilmente. Bisogna investire risorse. Due dati, per dire cosa è cambiato in questi dieci anni. Quando ho cominciato a lavorare con ragazzi cinesi dieci anni fa, l’ufficio Immigrazione del Comune di Venezia aveva 25 dipendenti, ora sono in 4 e l’ufficio è stato accorpato al servizio Pronto Intervento Sociale, Inclusione, Mediazione; all’inizio del mio lavoro, ogni ragazzo neo-arrivato aveva un pacchetto di dieci ore di mediazione, ora le ore sono quattro.
Nota. Trascrizione di cose dette all’incontro “La Cina vicina. Nuovi paesaggi urbani: la presenza cinese a Venezia”, promosso da aMarghera e Laboratorio Libertario all’Ateneo degli Imperfetti a Marghera il 31 maggio 2024 (interventi di Anna Lora-Vainwright, Zezheng Yu e Marcello Feraco, introduzione di Giancarlo Ghigi).
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