Appunti presi leggendo un libro recente su come “la moralità aziendale minaccia la democrazia”.
Il libro e l’autore
Carl Rhodes, Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, prefazione di Carlo Galli, trad. dall’inglese di Michele Zurlo, Fazi, Roma 2023 (ed. or. Woke Capitalism, Bristol University Press, Bristol (UK) 2022]. L’edizione cartacea costa 20 euro, il prezzo dell’ebook è 10,99 euro.
L’autore viene presentato come professore di Teorie dell’organizzazione e preside della UTS Business School presso la University of Technology di Sydney, Australia.
Il libro è suddiviso in 13 capitoli (il primo è un’introduzione che espone i temi, l’ultimo riassume le conclusioni), per un totale di 314 pagine. Nell’edizione italiana manca l’indice dei nomi, previsto in quella originale; c’è invece una prefazione (di Carlo Galli).
Di seguito un riassunto per punti, alla fine aggiungo alcune mie considerazioni.
Dalla denuncia all’ironia
Il termine woke (“consapevole”) nasce nei movimenti afroamericani statunitensi per indicare attenzione alle ingiustizie e alle discriminazioni sociali e razziali: spesso come esortativo (“stay woke” = “stai all’erta”).
2008: è diffuso da una canzone di Erykah Badu che ripete «I stay woke» (“Io sto all’erta”).
2013: è lo slogan adottato dal neonato movimento Black Lives Matter in segno di protesta per le uccisioni di afroamericani da parte della polizia.
2015-16: il termine passa a indicare l’ipocrisia politicamente corretta delle élite borghesi bianche che ostentano appoggio a cause progressiste come i diritti civili delle minoranze (etniche, di genere), la protezione dell’ambiente eccetera. Da allora il termine è usato in senso ironico: di qui l’espressione “capitalismo woke”.
[Cap. 3, Il capovolgimento dell’essere woke].
Il capitalismo diventa “woke”: alcuni esempi
La compagnia aerea Qantas, la terza compagnia aerea più antica del mondo, associa il proprio marchio alla difesa del matrimonio tra persone dello stesso sesso (2017).
La Nike lancia una campagna pubblicitaria puntando sul giocatore di football americano che aveva protestato contro le uccisioni di afroamericani per mano della polizia (2018).
Il marchio di abbigliamento Zara lancia una collezione di abiti “senza genere” (2018).
Celebrità come l’attore Leonardo DiCaprio e la cantante Katy Perry vanno in Sicilia in un aereo privato per partecipare in un resort di lusso a un vertice sul clima finanziato da Google (2019).
La Apple promuove una campagna pubblicitaria sostenendo il diritto degli immigrati minorenni negli Stati Uniti, sprovvisti di documenti, di ottenere il permesso di soggiorno (2019).
Michael Bloomberg finanzia la chiusura di centrali elettriche a carbone (2019).
La banca d’investimento Goldman Sachs promuove progetti di finanza sostenibile (2019).
L’azienda di gioielli Tiffany pubblica una pagina nei giornali australiani per chiedere al governo australiano di intraprendere azioni decise contro il cambiamento climatico (2020).
Jeff Bezos fondatore di Amazon destina fondi per l’ambiente (2020): pare che Amazon sia tra le aziende più inquinanti al mondo.
Bill Gates fondatore di Microsoft finanzia la ricerca per la prevenzione dell’HIV (2024).
[Cap. 1, Il problema del capitalismo woke; cap. 8, L’AD attivista; cap. 12, La mano destra elargisce].
Cause da sostenere, cause da non sostenere
Cause “etiche” e “socialmente responsabili” che il capitalismo woke sostiene: diritti LGBTQI+; prevenzione delle molestie sessuali; campagne antirazziste; uguaglianza per le persone con disabilità; azioni contro il cambiamento climatico.
Temi che il capitalismo woke rifiuta: disuguaglianza di reddito e di ricchezza; condizioni di lavoro; evasione fiscale dei potentati economici e finanziari (elusione fiscale, paradisi fiscali).
In ogni caso le aziende sostengono una causa solo se questa ha un forte appoggio nell’opinione pubblica e promette un ritorno di immagine e di vendite.
[Cap. 1, Il problema del capitalismo woke; cap. 4, Il capitalismo diventa woke].
Come viene giudicato il capitalismo woke
L’A. indica tre punti di vista:
1. quello politicamente conservatore, secondo cui le imprese non devono occuparsi di politica;
2. quello che si riconosce “woke”, secondo cui le imprese devono attivare politiche progressiste a beneficio della società;
3. quello dell’A., secondo cui le grandi imprese controllano sempre più non solo l’ambito economico ma anche quello politico, prendendo il posto dei governi, del dibattito civico, della volontà popolare e delle istituzioni democratiche, e alla fin fine distoglie l’attenzione dalle disuguaglianze crescenti. Il capitalismo “woke” legittima il capitalismo in un momento in cui è messo sotto accusa per le disuguaglianze sociali che produce e per la distruzione del pianeta che comporta.
[Cap. 1, Il problema del capitalismo woke; cap. 4, Il capitalismo diventa woke; cap. 12, Diventare woke nei confronti del capitalismo woke]
La “responsabilità sociale delle imprese”
1953: Nel libro Social Responsibilities of the Businessman (1953), l’economista Howard Rothmann Bowen sostiene che gli uomini d’affari avessero degli obblighi morali nei confronti della società, sia per il potere che avevano, sia per evitare che il loro potere venisse messo in discussione (cioè in funzione anti-socialista e contro l’intromissione dello Stato). Alla metà del Novecento negli Stati Uniti le imprese usavano la retorica della “responsabilità sociale”.
1962: In Capitalismo e libertà l’economista Milton Friedman (Nobel per l’economia nel 1976) sostiene che i manager dovevano badare agli interessi degli azionisti senza occuparsi di politica. Nel giro di una decina d’anni, neoliberismo (emblemi: Margaret Thatcher, Ronald Reagan): trasformare ciascun individuo in capitalista. Conseguenza: aumento del compenso dei dirigenti, licenziamenti e lavoro precario. Negli Stati Uniti nel 1978 gli amministratori delegati guadagnavano circa 30 volte la media dei lavoratori; alla fine degli anni Novanta il divario è arrivato a 400 volte.
Dal 2000 circa il primato degli azionisti è messo in discussione, torna in auge la retorica della “responsabilità sociale”. Larry Fink, amministratore delegato della società di gestione di investimenti BlackRock dichiara che le imprese devono avere uno scopo sociale, e cita l’esempio dell’IKEA che aveva licenziato un dipendente che per motivi religiosi si era dissociato dalla campagna della società a favore del gay pride (2019). Business Roundtable, che rappresenta gli amministratori delegati delle principali aziende americane, dichiara di volere una “crescita inclusiva” (2019). BlackRock dichiara di ritirarsi da investimenti che mettono a rischio la sostenibilità ambientale (2020).
Una ripresa della “responsabilità sociale”? Sì, ma in un contesto molto diverso. Negli anni Cinquanta del Novecento gli USA vivevano un periodo di crescita economica e di miglioramento delle condizioni di vita, mentre oggi le disuguaglianze vanno aumentando. Oggi l’esibizione della superiorità morale proviene da amministratori delegati, manager e super-ricchi, multinazionali che si arricchiscono grazie a sistemi di elusione ed evasione fiscale, aumentando a dismisura le disuguaglianze sociali. (L’1% più ricco della popolazione mondiale possiede quasi la metà della ricchezza globale.)
Perché questa retorica woke? si chiede ancora l’A. Perché le disuguaglianze sociali prodotte dal neoliberismo aumentano in modo talmente smisurato da minacciare l’esistenza stessa del capitalismo, alimentando rabbia popolare, nazionalismo e xenofobia. Lo scopo delle imprese non è ripristinare la democrazia, ma distruggerla.
Un tempo le imprese, per legittimarsi moralmente, ricorrevano alla mano invisibile del mercato; ora si presentano come salvatrici dalle disuguaglianze sociali e dallo sfruttamento che esse producono.
Fine della democrazia: si sta formando una nuova plutocrazia, governano i ricchi.
[Cap. 2, Populisti aziendali; cap. 4, Il problema del capitalismo woke; cap. 6, Un lupo in abiti woke]
Antirazzismo?
La Nike ha associato il marchio alla protesta per l’uccisione di afroamericani da parte della polizia: e altrettanto hanno fatto McDonald’s, Netflix, Starbucks. Le grandi aziende hanno assunto gli scopi del movimento Black Lives Matter ma cancellandone il carattere radicale, cancellando la denuncia del nesso tra razzismo e capitalismo (e quindi i richiami al colonialismo e alla schiavitù). Il capitalismo woke sfrutta quindi le persone di colore, non solo il loro lavoro, ma anche le loro idee, privandole dell’azione politica che si oppone allo sfruttamento capitalistico e razziale.
[Cap. 10, Capitalismo razziale / capitalismo woke]
Prefazione all’edizione italiana: “dall’Australia con rigore”
Nella Prefazione Carlo Galli riassume in forma sintetica i temi e le argomentazioni del libro, facendo proprio l’invito dell’A. a esercitare la critica e a sottrarsi “allo spettacolo e alla mercificazione, e all’autogiustificazione morale e narrativa del capitalismo” (p. XIV).
Pensieri leggendo il libro
1. Laddove leggevo “obiettivi progressisti”, pensavo: obiettivi considerati progressisti e accettati dalla maggioranza dei potenziali consumatori. Anche il termine “progressista” va storicizzato. E mi chiedevo: sono le imprese a decidere quali obiettivi sono progressisti e quali no? Sarebbero da studiare esempi storici che illuminano il rapporto tra obiettivi ritenuti progressisti e fenomeni di moda.
2. Leggendo il capitolo Capitalismo razziale/capitalismo woke, facevo confronti con il caso italiano. Pensavo cioè a come l’assegnazione degli individui alle rispettive comunità sia l’esito di sistemi giuridici, mercato del lavoro, politiche dell’immigrazione, presenza della Chiesa cattolica; e riflettevo su quanto trasversale alle diverse ideologie sia in Italia l’estetica del multiculturalismo. Per finire con queste considerazioni:
a. Le disuguaglianze sociali vengono cancellate: anzi no, le piramidi razziali (di cui parlano Al Amin Rabby e Teresa Ferraresi in altre pagine di altrochemestre.it) vengono trasformate in “diversità culturali”, rendendo identitario qualcosa che è invece una costruzione sociale.
b. La protesta contro le disuguaglianze sociali e razziali viene trasformata in compiacimento per la varietà multiculturale: ripulita da conflitti e gerarchie, la realtà urbana è colorata e arricchita dalla varietà multiculturale.
3. L’A. contrappone il potere delle élite economiche alla democrazia; e quando si contrappone al capitalismo lo fa in nome dei cittadini, della maggioranza, delle istituzioni democratiche, della cittadinanza, del bene comune, dell’autogoverno, di governi eletti dal popolo. L’A. non si chiede perché il potere del capitalismo utilizza la democrazia per i suoi scopi e possa convivere con le sue istituzioni politiche e con “governi eletti dal popolo”. Leggendo il libro si pensa spesso che laddove l’A. finisce (l’appello alla democrazia), lì invece dovrebbe cominciare (cosa significa democrazia?).
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