Itinerario tra i luoghi della memoria del terremoto del 1976 in Friuli. 9-10 marzo 2024.
Camminando per i paesini della pedemontana friulana non è difficile immergersi nell’atmosfera ancora “rurale” che caratterizza questi luoghi. Questo perché, nonostante il grande movimento di ricostruzione e modernizzazione di certe strutture che ci fu in seguito al terremoto del 1976, molte aree dei paesi vennero ricostruite mantenendo l’assetto e, talvolta, anche i materiali originali. È quella che viene chiamata la politica del “dov’era, com’era”: idea condivisa tra gli abitanti del Friuli che intendevano ricostruire i paesi pezzo per pezzo, a costo di numerare ogni pietra e rimetterla al suo posto (in termini tecnici, con il metodo dell’anastilosi).
Anche se le tracce materiali del terremoto non sono più così facilmente visibili, facendo attenzione è possibile trovare alcuni particolari che ci forniscono un racconto degli avvenimenti di quegli anni. Particolari che sono il frutto della volontà di mantenere la memoria e ricordare, sì, la strage ma anche, e soprattutto, la forte spinta alla rinascita.
Prima tappa di quest’itinerario è Colloredo di Monte Albano, precisamente il Castello trecentesco che si trova entrando nel paese. Il Castello subì notevoli danni a seguito del sisma: crollarono i due piani superiori e la volta sopra l’ingresso. Fu subito messo in sicurezza e predisposta la sua ricostruzione, anche se i lavori veri e propri iniziarono negli anni Novanta. A oggi le parti visibili sono l’ala ovest, sede della Comunità Collinare del Friuli, e la “Torre dell’Orologio”. Proprio quest’ ultima è tutt’ora di proprietà dei discendenti della famiglia Colloredo, i quali vi hanno abitato fino al maggio del 1976 e rientreranno in possesso di parte del Castello alla fine del restauro. Infatti il 60% del complesso sarà destinato a usi pubblici, mentre la parte restante sarà riservata alle famiglie che vi risiedevano all’epoca del sisma.
Spostandoci in un Comune confinante con Colloredo arriviamo a Buja, e più precisamente nella frazione di Avilla. Qui, nella piazza centrale, troviamo la chiesa di San Pietro Apostolo. Si capisce che è di costruzione recente, infatti è stata ricostruita dopo il terremoto con materiali nuovi: in che modo quindi porta con sé una testimonianza visibile del terremoto? Parlando con qualche paesano, lo scopro: la forma curiosa del tetto della chiesa infatti è stata realizzata, secondo il progetto dell’architetto Delino Manzoni, per ricordare la forma delle tende che nel periodo immediatamente successivo al sisma ospitarono la popolazione friulana. La chiesa di Avilla è stata la prima a essere ricostruita tra tutte quelle presenti in Friuli, con i lavori terminati nel 1980. Il campanile, invece, rimase intatto.
Raggiungiamo poi uno dei centri più colpiti quel 6 maggio del 1976: Gemona del Friuli.
Passeggiando per il centro storico di Gemona ci si imbatte subito nel duomo di Santa Maria Assunta, di epoca medievale. Ciò che colpisce, appena entrati, è una particolare inclinazione delle colonne interne all’edificio: queste infatti pendono visibilmente verso destra. Ed è proprio una testimonianza diretta del terremoto: infatti il sisma aveva causato il crollo della navata destra del duomo, e aveva portato le colonne a inclinarsi notevolmente verso la parte crollata. Quando venne il momento della ricostruzione, si decise di non sistemare le colonne come erano in precedenza, ma di lasciarle inclinate, inserendovi un palo di ferro all’interno per renderle sicure ma allo stesso tempo mantenere l’impatto visivo dello spostamento che la scossa ha provocato.
Uscendo dal duomo e imboccando via Bini, la via principale del centro storico, troviamo a un certo punto sulla destra un scalinata. È una presenza che colpisce, trovandosi proprio a ridosso della strada, tra qualche bar, una sede universitaria e una pizzeria. Si tratta di ciò che resta della chiesa della Madonna delle Grazie: risalente al XV secolo e distrutta dal sisma del ’76, non fu riedificata poiché mancavano i presupposti per restaurarla secondo il metodo dell’anastilosi (utilizzato per la maggior parte degli altri edifici). È stato quindi mantenuto il rudere come ricordo e testimonianza dell’evento.
Salendo più a nord, raggiungiamo ora un altro dei comuni emblematici del terremoto, Venzone. Già varcando le mura la sensazione è quella di entrare in una cittadina medievale: si, perché sono ancora presenti le mura trecentesche che circondano l’abitato. Venzone è infatti l’esempio più eclatante di quell’ideale sopra citato del “dov’era, com’era”. Percorrendo la via principale arriviamo al duomo di Sant’Andrea (risalente alla metà del 1200). Il duomo e i palazzi storici furono ricostruiti nei minimi dettagli: i materiali originali furono recuperati dalle macerie, conservati e catalogati. Quasi diecimila pietre furono contrassegnate con delle lettere e numerate per poi essere ricollocate nella loro esatta posizione, basandosi su fotografie, mappe e ricordi di tutti i cittadini. Sette anni durò la ricostruzione: dal 1988 al 1995, quando il duomo era completamente rinato. Ma effettivamente non è identico a prima: si è scelto infatti di lasciare visibile la differenza tra la parte non crollata (che è deformata a causa del sisma) e quella ricostruita.
Altro luogo degno di nota in riferimento al mantenimento della memoria del sisma a Venzone, è la mostra “Tiere Motus”. Questa esposizione, attraverso fotografie, video e documenti, vuole far conoscere al visitatore i momenti della storia del terremoto in Friuli e mantenere vive nella memoria collettiva le vicende connesse a esso. Proprio per questo il percorso si conclude con una simulazione che, mediante un impianto 3D e la diffusione di particolari frequenze, fa percepire la riproduzione della scossa sismica (vibrazione della terra, boato, rumori dei crolli).
Spostandoci di poco da Venzone, entriamo nella frazione di Portis. Quello di Portis è un caso molto particolare: infatti da un lato della strada troviamo il Comune attualmente abitato, con edifici moderni, mentre dall’altro lato si trova quello che viene chiamato “Portis Vecchio”. È infatti un comune fantasma, che non può più essere abitato perché l’area è soggetta a crolli di massi dalla montagna in seguito al sisma. Per questo Portis costituisce un caso unico nella zona colpita: l’abitato è stato ricostruito totalmente in un’altra zona del Comune. È l’unico caso in cui anche gli abitanti hanno messo da parte il loro ideale, facendo fronte al rischio di frane. Ma la memoria del paese non è stata per questo cancellata. Camminando per le strade di Portis Vecchio, infatti, troviamo le case semi-distrutte al cui interno si intravedono anche alcuni mobili. Qualcuno che ci abitava prima del 1976 si reca ancora qui per coltivare l’orto o tenere gli attrezzi. Inoltre attualmente Portis Vecchio è diventato un polo di addestramento della “scuola internazionale di formazione per la gestione della risposta in emergenza sismica”. Insomma, anche se il paese è stato rinnovato e spostato, il desiderio di mantenere viva la memoria è sempre presente.
Nota sugli itinerari percorsi
9 marzo 2024: spostamento in auto da Buja (frazione di Madonna) a Gemona del Friuli (8 km, 10 minuti), centro storico percorso a piedi (500 m, 10 minuti); spostamento in auto da Gemona a Venzone (8 km, 12 minuti), centro percorso a piedi (450 m, 10 minuti); spostamento in auto da Venzone a Portis (2 km, 4 minuti), visitato a piedi (900 m, 15 minuti).
10 marzo 2024: partenza in bici da Buja (frazione di Madonna) per raggiungere la chiesa della frazione di Avilla (4 km, 15 minuti); spostamento in auto a Colloredo di Monte Albano (6 km, 8 minuti).
Tutte le foto che documentano la situazione attuale sono dell’Autrice (scattate con macchina fotografica Canon PowerShot SX432 IS).
Bibliografia e sitografia
Gemona nella patria del Friuli: una società cittadina nel Trecento, a curai di Paolo Cammarosano, Centro Europeo Ricerche Medievali, Trieste 2009
Francesco Cossiga et al., La forza di rinascere. Gemona e il Friuli 1976-2001, LaNovaBase Editrice, Udine 2001
Il terremoto nel Friuli collinare. Dall’emergenza alla memoria, Comunità Collinare del Friuli, Colloredo di Monte Albano 2006
Alle nove della sera. Friuli 6 maggio 1976, 6 maggio 2006, a cura di Gabriele Basilico et al., Arti Grafiche Friulane, Pasian di Prato 2006
Artegna. Storia, terremoto, rinascita [, a cura di Teresita Andreussi], Comunità Parrocchiale di Artegna, Artegna [Arti Grafiche, Udine] 1979
Friuli 1976-2006. Trent’anni della nostra storia, inserto del “Messaggero Veneto”, Udine-Pordenone, 6 maggio 2006
https://www.turismofvg.it/fvglivexperience/portis-vecchio-un-paese-fermo-al-1976
http://www.venzoneturismo.it/it/venzone/terremoto-1976/
http://www.cantirs.it/it/msm?D02010017
https://www.glemone.it/archivio/monumenti_storici/madonna_grazie.htm
https://www.treccani.it/enciclopedia/il-caso-del-terremoto-in-friuli_(L’Italia-e-le-sue-Regioni)
https://www.turismofvg.it/castelli/castello-di-colloredo-di-monte-albano
https://www.museionline.info/musei/museo-tiere-motus
Nota della redazione. Questo articolo nasce dagli incontri del Laboratorio di documentazione e storia del tempo presente che la redazione di altrochemestre.it ha curato nell’ambito del corso di Storia sociale tenuto da Alessandro Casellato (Università Ca’ Foscari, Venezia, febbraio-marzo 2024).
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