Come si costruisce e si legge una “autobiografia mai scritta”? Pubblico e privato, carriera e genere, percorsi “irriducibilmente individuali” e questioni “generalizzabili”. Note sul primo titolo dedicato a una storica, Elena Fasano Guarini, in una collana dedicata a figure della storiografia italiana del Novecento.
Nel 2022 la Giunta Centrale per gli Studi Storici e la casa editrice Viella hanno inaugurato una collana intitolata “Storici e storiche nell’Italia unita. Le autobiografie”, a cura di Andrea Giardina, Roberto Pertici e Edoardo Tortarolo. A dispetto del titolo, non si tratta di vere e proprie autobiografie, bensì di profili di grandi figure della storiografia del Novecento stesi da terzi, mettendo in primo piano gli scritti a carattere autobiografico, siano essi editi o inediti, compiuti o frammentari. Stranamente i curatori non si soffermano a commentare una scelta a dir poco inusuale: come si scrive un’autobiografia altrui? La domanda non sarebbe scontata in tempi meno sospetti, ma si rende ineludibile in un momento in cui le controversie sui temi identitari (bisogna “decolonizzare” i classici? chi e come lo può fare?) hanno riportato con forza alla ribalta l’annoso problema del rapporto tra soggettività e conoscenza.
I volumi della collana sono snelli (formato piccolo, un centinaio di pagine ciascuno) e lasciano poco spazio alle riflessioni metodologiche, sebbene alcuni autori se ne preoccupino più di altri. L’ultimo degli otto titoli apparsi finora è anche il primo e a oggi l’unico ad avere come protagonista una donna, Elena Fasano Guarini (1934-2014), e il secondo a essere redatto da una donna, Maria Antonietta Visceglia, autrice di importanti studi sulla Roma dei papi.[1]
Il libro si apre con una ricapitolazione del rapporto complesso tra storia, letteratura e autobiografia e più specificatamente delle difficoltà delle storiche donne a raccontarsi, con qualche accenno alle declinazioni nazionali (e italiane in particolare) di questa difficoltà. Visceglia rievoca la stagione delle ego-storie lanciata in Francia da Pierre Nora alla fine degli anni Ottanta. (E si potrebbe aggiungere il contemporaneo esperimento portato avanti in Italia dalla rivista Belfagor.) Se tradizionalmente gli storici sono stati reticenti a parlare di sé, come se celandosi dietro i risultati della ricerca scientifica potessero offrire maggiori garanzie di oggettività, la moda delle ego-storie fece rompere gli indugi a molti. Ma le donne per lo più si defilarono, consapevoli del fatto – aggiungo io – che per loro il privato (anche in assenza di scandali) delegittima ruoli pubblici spesso costruiti a fatica. Visceglia ricorda giustamente le rare eccezioni alla regola, a partire dal dialogo interiore, al tempo stesso intimo, politico e sperimentale, steso da Luisa Passerini a vent’anni dal ’68.[2]
Nulla di paragonabile è disponibile per tracciare un profilo di Elena Fasano nata Guarini, ma Visceglia non lascia nulla di intentato. Il risultato è duplice: alla ricostruzione del percorso accademico di una studiosa di alto calibro si intrecciano cenni e incisi sulla base dei quali sondare il suo vivere la propria condizione di donna.
Di buona famiglia milanese, nel 1952 Guarini entra con una borsa di studio alla Scuola Normale di Pisa. È tra le primissime donne a venire riammessa alla prestigiosa istituzione dopo l’esclusione imposta dal regime fascista nel 1929 in conformità alla riforma Gentile. Da subito frequenta i seminari di Delio Cantimori, il noto studioso degli eretici italiani. Tuttavia, il clima nelle aule e nei corridoi, per non dire delle strutture di accoglienza (a partire dagli alloggi), non agevolano la vita delle allieve, tanto che il gruppuscolo presto si assottiglia ulteriormente. Lei stessa si vede costretta, con grande rammarico, a lasciare la Scuola non essendo riuscita a superare i requisiti della borsa assegnatale a causa di problemi di salute. Ricordando quell’episodio a distanza di mezzo secolo la storica si sarebbe chiesta quanto avessero pesato sulla rigida applicazione del regolamento il suo genere e le sue attività politiche (iscritta alla FGCI, aveva partecipato agli scioperi operai cittadini).
Grazie al sostegno di Armando Saitta, ordinario di Storia moderna, nel 1957 si laurea all’Università di Pisa e vince una borsa presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici diretto da Federico Chabod, che ne orienta gli interessi verso le origini dello Stato moderno. Quindi si trasferisce con il marito (Giancarlo Fasano, studioso di letteratura francese) a Parigi dove, per cinque anni, si mantiene schedando documenti archivistici per un progetto coordinato da Saitta. Nella capitale francese stringe un rapporto, che rimarrà duraturo, con Fernand Braudel, il quale, una ventina d’anni più tardi, le affiderà la curatela del secondo volume della storia di Prato da lui diretta.
Questo periodo parigino felice e stimolante si conclude bruscamente in seguito a una decisione su cui Fasano Guarini tornerà a posteriori usando due registri diversi. Nelle pagine introduttive di una raccolta di propri saggi uscita nel 2008 si legge: «per ragioni private,… nel 1963 da Parigi ero tornata a Pisa, dove anni prima mi ero laureata. Questo ritorno avvenne un po’ al buio, e comportò per me uno stacco intellettuale e scientifico difficile: cambiò durevolmente le mie prospettive di lavoro».[3]
Quali fossero state queste ragioni private lo si apprende solo da alcune lettere che la studiosa indirizzò ai nipoti, scritte in un tono consono alla loro giovane età e pubblicate poco prima della sua morte: «A Parigi siamo stati veramente bene; tanto che quando – prima il nonno, che allora era un po’ il capo della famiglia e poi io al suo seguito – tornammo in Italia, mi è rincresciuto parecchio».[4]
Tutti i corsivi sono miei. Forse sono superflui, in queste frasi grondanti di impliciti personali e sociologici che si commentano da soli. Semmai va riconosciuto a Visceglia di aver dato risalto al documento inconsueto che sono le lettere della storica ai nipoti, un testo tanto raro e ricco di spunti quanto difficile da reperire.[5]
Per Fasano Guarini il rientro in Italia coincise comunque con l’affermazione accademica. Dopo un periodo presso l’università di Cagliari rientrò nell’ateneo pisano, divenendo professoressa ordinaria nel 1980, nonché direttrice di dipartimento e preside di facoltà. Da lì animò anche importanti progetti di ricerca a livello nazionale. La sua è stata una carriera di successo fuori dall’ordinario per l’epoca. È stata anche la vita di una donna che si mosse in un mondo di uomini (troppi da elencare, anche limitandosi ai nomi più illustri).
Un confronto con coetanee straniere quali Natalie Zemon Davis (1928-2023) e Christiane Klapisch-Zuber (n. 1936) mette in luce l’assenza in lei di istanze apertamente femministe. Ma Visceglia si addentra «nella trama tra detto e non detto, nell’equilibrio tra ammissioni e omissioni».[6] Osserva per esempio che Fasano Guarini si è sempre dedicata a temi «ardui» come la storia dello Stato e delle istituzioni politiche. Eppure, laddove molti colleghi uomini hanno ravvisato un processo di centralizzazione del potere durante il Rinascimento, lei ha invece sottolineato «l’incertezza dei confini, il groviglio di poteri giurisdizionali e amministrativi, la presenza di enclave feudali, la varietà del sistema fiscale cui erano sottoposte le comunità».[7] Possiamo leggere l’eco della sua condizione di minoranza in questa interpretazione?
A ogni modo, dopo il pensionamento, Fasano Guarini dimostrò «un’inedita tardiva attenzione alla storia delle donne».[8] In proposito Visceglia cita il contributo a un volume in onore di Alberto Tenenti del 2005 consacrato alla voce «marginale e sommessa» di Lucrezia Migliorati, moglie di un mercante pratese, che tra 1599 e 1615 stese un libro di ricordi «redatto in forma privata, per sé e forse per i suoi figli», da cui traspare «il chiaroscuro degli affetti, e i tormenti che essi possono portare con sé».[9] In realtà già nel 1994 Fasano Guarini aveva pubblicato (in inglese – una coincidenza?) uno studio del processo per stupro di una contadina adolescente di nome Lena Panchetti conclusosi nel 1558 con una pena assai lieve per l’accusato, un nobile fiorentino, dopo l’intervento diretto del granduca [10] — scritto d’occasione che la storica volle includere nella sua già citata raccolta di saggi notando che si era trattato di un’«esperienza unica nella mia vita scientifica» ma non disgiunta dai temi riguardanti la giustizia a lei cari.[11]
Visceglia dà ampio spazio ai ricordi di famiglia evocati nelle lettere ai nipoti, facendo notare come in essi spicchino le figure femminili, tra cui la madre, Ida Miroglio, laureatasi in ingegneria senza però aver mai esercitato la professione, e la bisnonna Caterina, donna volitiva, il cui ritratto troneggiava nel salotto della casa d’infanzia e pare aver sempre instillato forza e determinazione nella discendente: «Io ebbi sempre la sensazione di vivere all’interno di un blocco assai coeso e possente, il blocco cui aveva primariamente dato vita lei, Caterina, una donna».[12]
Non ci è dato sapere se Fasano Guarini si sarebbe riconosciuta nel profilo restituitoci da Visceglia, ma è lecito chiedersi quanto esso sia generalizzabile in termini generazionali o quanto irriducibilmente individuale. Allo stato delle cose possiamo augurarci che qualche risposta in più venga dall’annunciato progetto della Società Italiana delle Storiche di intervistare quelle colleghe che vorranno riflettere sul risvolto biografico delle proprie vite accademiche.
[1] Maria Antonietta Visceglia, Elena Fasano Guarini, Viella, Roma 2023.
[2] Luisa Passerini, Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 1988.
[3] Elena Fasano Guarini, “Introduzione”, in Ead., L’Italia moderna e la Toscana dei prìncipi. Discussioni e ricerche storiche, Le Monnier, Firenze 2008, p. iv, passo citato quasi integralmente in Visceglia, Elena Fasano Guarini, p. 50.
[4] Elena Fasano Guarini, Ieri, oggi e domani. Lettere di una nonna ai nipoti, Edizioni ETS, Pisa 2014, p. 78, passaggio citato in Visceglia, Elena Fasano Guarini, p. 50.
[5] Stando all’opac sbn, Fasano Guarini, Ieri, oggi e domani è disponibile solo in tre biblioteche universitarie di Pisa e nelle due nazionali (Firenze e Roma). Ringrazio Filippo Benfante che ha consultato per me la copia fiorentina.
[6] Visceglia, Elena Fasano Guarini, p. 88.
[7] Ivi, pp. 14, 53.
[8] Ivi, p. 69.
[9] Fasano Guarini, Gli affetti e le cose. Dai “ricordi” di Lucrezia Migliorati, Prato 1599-1615, in Alberto Tenenti. Scritti in memoria, a cura di Pierroberto Scaramella, Bibliopolis, Napoli 2005, pp. 357-379: 379, 359, 378; vedi anche Visceglia, Elena Fasano Guarini, p. 69.
[10] Fasano Guarini, The Prince, the Judges and the Law: Cosimo I and Sexual Violence, 1558, in Crime, Society and the Law in Renaissance Italy, a cura di Trevor Dean e K.J.P. Lowe, Cambridge University Press, Cambridge 1994, pp. 121-141, ristampato in Ead., L’Italia moderna e la Toscana dei prìncipi, pp. 157-174.
[11] Fasano Guarini, “Introduzione,” p. ix.
[12] Fasano Guarini, Ieri, oggi, domani, p. 62, cit. in Visceglia, Elena Fasano Guarini, p. 82.
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