Cose dette a Marghera, di fronte a un pubblico di italiane e italiani, da Al Amin Rabby, ricercatore bangladese che studia migranti impiegati in ditte che lavorano per la Fincantieri
Nota. Al Amin Rabby è un ricercatore bangladese che sta completando un dottorato in Sociologia del lavoro presso l’Università di Padova. È intervenuto all’incontro “La fabbrica degli appalti. Migranti bangladesi alla Fincantieri di Porto Marghera” (26 gennaio 2024, Ateneo degli Imperfetti, Marghera) organizzato dal gruppo aMarghera e dal Laboratorio Libertario. Rabby ha parlato in inglese. La traduzione è stata fatta da Lorenzo Feltrin, ricercatore in Sociologia del lavoro presso l’Università di Birmingham; ha partecipato alla discussione Nicola Quondamatteo, ricercatore di Sociologia del lavoro, presso l’Università di Padova; Giancarlo Ghigi, di aMarghera, ha presentato e moderato l’incontro. La trascrizione, la selezione dei brani e il loro montaggio sono a cura della redazione di altrochemestre.
Una ricerca in corso
Mi occupo, per ragioni di studio, di migranti che vengono in Italia da tante parti del mondo, in particolare dal Bangladesh. Per il mio dottorato ho fatto un lavoro sul campo a Marghera e a Monfalcone, qui ci concentriamo su Marghera.
I bangladesi sono arrivati in Italia a partire dagli anni Ottanta. Dopo la sanatoria in seguito alla legge Martelli negli anni Novanta, molti di loro si sono regolarizzati, e da allora il numero degli arrivi è andato aumentando, anche grazie ai visti sponsorizzati dai datori di lavoro e ai ricongiungimenti familiari. Con l’invecchiamento della popolazione italiana e l’aumento della competizione internazionale, è infatti cresciuta in Italia la domanda di forza lavoro a basso costo.
Secondi dati Istat i migranti bangladesi residenti in Italia con permesso di soggiorno regolare sono 159.000 nel 2021. A Marghera gli immigrati erano l’1,2% della popolazione, ma il dato si riferisce solo a coloro che hanno un permesso di soggiorno regolare, e non comprende quelli che hanno solo un documento di ospitalità. I bangladesi sono il gruppo più rappresentato all’interno degli stranieri a Marghera, quando ho raccolto i dati erano l’11% della popolazione straniera, ma forse ci sono dati più recenti[1].
A Marghera ho vissuto per un periodo con i lavoratori della Fincantieri che stanno alla Cita. Inizialmente è stato il mio amico Giulio ad aprirmi le porte del quartiere; poi mi sono mosso attraverso le mie reti, ho partecipato a incontri e frequentato luoghi dove si incontrano i bangladesi.
Non mi è stato permesso accedere all’interno della fabbrica, di conseguenza i partecipanti alla ricerca mi hanno mandato con il cellulare delle foto del lavoro all’interno della Fincantieri.
Trovare e tenere il lavoro
Per quanto riguarda il meccanismo delle assunzioni, funzionano attraverso le conoscenze, per cui quelli che conoscono già delle persone che lavorano negli appalti per la Fincantieri presentano una persona, e attraverso questo meccanismo avviene l’assunzione.
Per avere un lavoro serve il permesso di soggiorno, ma il permesso di soggiorno è condizionato dal contratto di lavoro, e come ho detto il contratto di lavoro è condizionato dal permesso di soggiorno, perché chiaramente non si può fare un contratto a persone clandestine, il che aumenta la ricattabilità dei lavoratori nei confronti dei capi e dei proprietari dell’azienda. Anche quando finisce l’orario di lavoro, se il superiore chiede che si rimanga ulteriormente, devi rimanere, perché il capo dice: “O così o se non ti va bene vai via”, sapendo che questi lavoratori non possono permettersi di perdere il lavoro a causa del ricatto del permesso di soggiorno.
In una delle interviste un lavoratore mi ha detto: i capi sono furbi come delle volpi. I capi conoscono infatti la situazione per quanto riguarda i documenti di permesso di soggiorno degli operai, e quindi quelli che sanno essere una situazione più vulnerabile sanno che li possono colpire più duro, mentre quelli che hanno il permesso di soggiorno permanente fanno parte della categoria più protetta, e a loro non puoi richiedere certi tipi di prestazione. Quindi i lavoratori in una situazione più vulnerabile lavoreranno di più anche per salari più bassi, e i capi lo sanno.
Farsi pagare
Il problema più noto nel sistema degli appalti è quello della paga globale, e consiste nel fatto che si mettono d’accordo, al di fuori di tutti i meccanismi contrattuali, su un fisso forfettario mensile, e poi come questo fisso viene raggiunto tra TFR, rimborsi fittizi della benzina eccetera. Questo sistema fa saltare tutti i meccanismi di tutela contrattuale. Per €1000 devono lavorare 200 ore al mese, e quindi di fatto la paga globale è di €5 all’ora. Sì, tutto si basa sul rapporto paga netta-orario di lavoro, per cui sai che per arrivare a 1000 € devi lavorare 200 ore; poi questi 1000 € arrivano calcolando il salario base più determinati bonus, rimborsi della benzina, TFR eccetera eccetera, e questo è indipendente dalla legalità e dalla contrattualistica.
Per le condizioni che ci sono è molto difficile sottrarsi a questo carico di lavoro, nascondersi o ridurre la quantità, perché ci sono molti supervisori. Ci sono tre strati di supervisori; quelli della ditta in subappalto, quelli della ditta in appalto e quelli di Fincantieri, insomma c’è sempre un supervisore che ti controlla.
Individualmente quello che si può fare è lasciare il lavoro e trovarne un altro, per esempio nella ristorazione a Venezia, oppure passare da un’impresa in appalto a un’altra.
Rapporti, lealtà
Non c’è veramente l’idea di che cosa sia l’organizzazione sindacale, come funzioni e quali siano i diritti sindacali in Italia. Il messaggio che i capi passano è che non è il sindacato a darti il lavoro né a farti avere la busta paga, anche perché se ti iscrivi al sindacato non ti rinnovano il contratto. Tra i lavoratori e la comunità bangladese in Italia il sindacato rappresenta qualcosa di negativo per i lavoratori. Per quanto riguarda i capi e i proprietari di queste piccole o medie aziende in appalto, sono sia italiani che bangladesi, e anche rumeni – tutti però condividono questo atteggiamento.
I nuovi arrivati, che di solito entrano attraverso conoscenze, non vogliono creare problemi nel luogo di lavoro per non creare problemi a chi ha trovato loro lavoro, e anche questo funziona come freno per rivolgersi a un sindacato.
Un lavoratore per esempio che ho intervistato ha cominciato a lavorare con un permesso di soggiorno per richiedenti asilo, ed è entrato attraverso la raccomandazione di un conoscente; aveva tre mesi di salario in arretrato non pagati, ma nemmeno in questa condizione ha voluto andare dal sindacato. Se ti rivolgi al sindacato vieni percepito come uno svergognato che mette in difficoltà chi ti ha fatto entrare nell’azienda.
La percezione tra i bangladesi è che i sindacalisti sono tutti italiani, fannulloni, e che lavorano per gli interessi della Fincantieri. Si rivolgono comunque ai sindacati per quanto riguarda la fornitura di servizi di CAF, per il rinnovo del permesso di soggiorno, per le tasse, per i ricongiungimenti familiari eccetera, però lo vedono come un ufficio legale a cui ti rivolgi per un servizio, paghi e te ne vai.
Piramidi di potere, piramidi razziali
Non ho mai potuto osservare direttamente le relazioni tra lavoratori bangladesi e italiani, perché non sono stato dentro Fincantieri. Però senz’altro le relazioni al lavoro sono gerarchiche. Gli italiani sono i capi squadra, e quindi il rapporto tra italiani e bangladesi è comunque di tipo gerarchico.
In questo ambiente di lavoro gli abusi sono comuni e ci sono relazioni autoritarie, i capi non hanno rispetto dei lavoratori, urlano, li trattano a male parole e bestemmie. A causa della incomprensione linguistica spesso i lavoratori non capiscono bene che cosa gli viene detto, ma capiscono dalle urla e dalle brutte parole.
Alla Fincantieri c’è una sorta di piramide razziale basata di fatto sul colore della pelle, per cui al vertice ci sono italiani, in mezzo rumeni e altri europei dell’Est che, essendo cittadini dell’Unione Europea, non hanno il problema del permesso di soggiorno. Sotto ci sono senegalesi, bangladesi e cingalesi. Perciò la percezione da parte della comunità bangladese è che essendo tutti italiani sia i dirigenti Fincantieri, sia i lavoratori in cima a questa piramide razziale, sia infine i sindacalisti, in qualche modo siano tutti contro di loro.
Tuttavia queste cose si stanno anche trasformando. Ci sono state alcune vertenze in alcune aziende in appalto in cui gli operai bangladesi che avevano permesso di soggiorno di lungo termine ed erano presenti nel territorio da più tempo hanno cominciato delle vertenze. Resta comunque il fatto che i lavoratori bangladesi non hanno conoscenza di che cosa sia il sindacato e di come funzioni, perché quella alla Fincantieri è la prima loro esperienza di lavoro di questo tipo, per cui non hanno un’esperienza. La mancanza di conoscenza deriva anche dal fatto che alcuni hanno livelli bassi di istruzione. Poi c’è una non sufficiente iniziativa a parte dei sindacati per stabilire un dialogo un incontro regolare nella quotidianità.
A causa di questa segregazione razziale, se ci sono degli scioperi da parte dei bangladesi gli italiani non scioperano, e se ci sono degli scioperi da parte degli italiani i bangladesi non scioperano. Inoltre se i lavoratori di una ditta in appalto scioperano, altri di un’altra ditta in appalto vanno comunque a lavorare, e questa frammentazione fa sì che anche l’impatto dello sciopero sia di molto ridotto[2].
Se non mangi insieme…
Gli operai delle ditte in subappalto non hanno accesso alla mensa, la ditta in subappalto non paga per il pranzo, e quindi i lavoratori si portano il cibo da casa. Anche quando la ditta paga la mensa a volte è difficile per i lavoratori approfittarne, perché se lavorano a bordo delle navi ci mettono troppo tempo per arrivare alla mensa, la pausa è corta e non hanno tempo per andare e tornare alla nave, per cui mangiano all’aperto per strada o nella nave in cui stanno lavorando, bisogna tener conto che le pause più lunghe di un’ora non vengono pagate. I lavoratori italiani invece mangiano alla mensa perché sono più liberi di muoversi, con più tempo.
Incontrarsi in luoghi pubblici
Come parlare con migranti bangladesi? ci sono molti modi, ci sono associazioni di bangladesi in quartiere, ci sono leader locali per esempio c’è stato un candidato bangladese alle elezioni alla municipalità di Marghera, la Bangla School che è in via Aleardi a Mestre organizza diversi eventi culturali, ci sono poi centri culturali islamici. Quando vivevo alla Cita ho avuto un’esperienza: alla chiesa della Resurrezione c’è stato un incontro assieme a un professore di Ca’ Foscari che si chiama Francesco Della Puppa, ci sono andato perché Della Puppa mi aveva invitato, l’incontro era su di un fumetto che parlava di bangladesi, c’era solo un bangladese. L’importante non sono italiani che vogliono incontrare bangladesi o bangladesi che vogliono incontrare italiani, ma italiani e bangladesi che vogliono incontrarsi, importante insomma sarebbe la reciprocità nell’incontro, entrambi i lati dovrebbero sforzarsi. Avevo parlato con il mio amico Giulio ancora un paio di anni fa su come creare una mutua interazione tra bangladesi e italiani, soprattutto impegnati nel mondo sindacale e attivisti, noi pensavamo alla piazza di Marghera, pensavamo di organizzare momenti di interazione nella piazza di Marghera davanti alla municipalità, per parlare, capire i problemi, non necessariamente con l’ambizione di risolverli ma intanto per conoscerli e parlarne.
Questi momenti di incontro nei luoghi pubblici potrebbero essere utili anche ai bangladesi che non lavorano in Fincantieri ma nella ristorazione a Venezia, che non sanno l’italiano e dato il tipo di lavoro non possono organizzarsi, di conseguenza uno spazio pubblico potrebbe essere utile per questa categoria di lavoratori, che potrebbero mostrare il loro contributo alla società, che non è riconosciuto: molti pensano che i bangladesi arrivino qui come rifugiati mentre è solo una minoranza in queste condizioni.
Progetti
A lungo molti bangladesi non appena riuscivano a ottenere la cittadinanza italiana andavano a vivere in Inghilterra, perché col passaporto italiano era possibile. Questa scelta era dovuta al fatto che il Regno Unito è percepito dai migranti bangladesi come un paese con maggiori possibilità per i loro figli, una comunità bangladese già ampia e consolidata e un livello minore di razzismo[3]. Ora, dopo la Brexit, non è però più possibile risiedere nel Regno Unito con un passaporto italiano.
Le coppie che sono riuscite a ottenere il ricongiungimento famigliare sono riuscite a far arrivare i figli prima che compissero i diciotto anni di età; questi figli vanno poi a lavorare o alla Fincantieri o nella ristorazione a Venezia, anche se non si può parlare nel loro caso di seconda generazione essendo nati in Bangladesh e arrivati qui con il ricongiungimento famigliare; i figli e le figlie invece nati in Italia sono ancora molto giovani, hanno grosso modo tra gli otto e i dieci anni. Ci sono famiglie di bangladesi che hanno figli nati qui che parlano solo italiano.
[1] Al 31 dicembre 2022 la popolazione straniera residente nel comune di Venezia era di 40.525 individui su un totale di 253.174 residenti; quasi una metà dei cittadini stranieri residenti veniva dall’Europa (19.452), e un 40% dall’Asia (15.895); degli individui provenienti dall’Asia circa una metà (7.858) erano originari del Bangladesh, e poco meno di un quarto (3.776) della Repubblica popolare cinese; i due terzi 3 dei residenti provenienti dal Bangladesh erano maschi, mentre tra i cinesi la metà è composta da maschi e l’altra metà da femmine. Se ci limitiamo al Quartiere 13 (Marghera-Catene-Malcontenta) i cittadini italiani sono 20.439, quelli stranieri 7758; tra gli stranieri, il 45% (3553) proveniva dall’Asia, e il 41% dall’Europa. Dati della popolazione in https://www.comune.venezia.it/it/content/statistica-statistiche-popolazione-0.
[2] A questo proposito è intervenuto Nicola Quondamatteo: “Faccio un esempio, non da Marghera ma da Monfalcone, sempre dal ‘mondo’ Fincantieri. Nel settembre 2022 successero due cose nei cantieri di Ancona: prima un lavoratore bangladese fu preso a martellate dal suo supervisore, sempre bangladese, e qualche mese dopo ci fu un incidente sul lavoro. In quest’ultima occasione fu proclamato uno sciopero per il giorno dopo in tutti i cantieri (in Italia ci sono otto cantieri del gruppo Fincantieri). Fu una decisione veloce. A Monfalcone alcuni lavoratori bangladesi non lo sapevano, perché non è uno di quegli scioperi che chiami con anticipo. Insomma c’è anche una mancanza di canali in cui far passare le informazioni”.
[3] Si veda M. Morad, F. Della Puppa, D. Sacchetto, The dark side of onward migration: Experiences and strategies of Italian‐Bangladeshis in the UK at the time of the post‐Brexit referendum, “The British Journal of Sociology”, 72 (5), pp. 1311-1324.
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